Le piattaforme digitali con una chiara impronta sociale, basate cioè prevalentemente, o almeno originariamente, sulla partecipazione attiva degli utenti, sono in giro da un paio di decenni. Escludendo i blog, che sono di qualche anno più vecchi e che sono stati, per un breve periodo e solo in minima parte, ambienti sociali con aspirazioni simili, una specie di prova d’orchestra di quello che sarebbe accaduto negli anni successivi con i social network veri e propri, la vita di queste piattaforme mi pare che fino ad oggi abbia seguito uno schema che si è ripetuto ogni volta uguale.


1 La fase delle potenzialità.

La prima fase è quella delle potenzialità. Nessuno sa bene cosa succederà alla piattaforma appena nata e, per la verità, nella grande maggioranza dei casi, alla “nuova grande idea” non succederà proprio nulla. L’ambiene digitale viene pensato, implementato e reso pubblico: poche persone lo utilizzano; più o meno lentamente la piattaforma muore. È nell’ordine delle cose essendo stata fino a oggi Internet un luogo ampio, competitivo e senza vistose barriere d’ingresso. Nei rari casi in cui una piattaforma incontra invece l’attenzione di molte persone, in questa prima fase è il pubblico stesso degli utilizzatori a dettare la linea. Capita che gli utilizzi prevalenti siano differenti da quelli che gli ideatori avevano immaginato ed il loro compito, a quel punto, sarà quello di osservare con attenzione quello che accade e seguire l’onda. Nella fase delle potenzialità tutto può succedere, la cultura di rete che inizia a depositarsi da quelle parti segue traiettorie difficili da riconoscere. Non basterà aver creato una piattaforma che interessa molte persone, servirà anche capire bene come la stanno utilizzando e dove la stanno portando.


2 La fase florida.

Le seconda fase delle piattaforme digitali è la fase florida. Per un periodo di lunghezza variabile gli interessi degli utenti e della piattaforma sembrano coincidere. Gli utenti crescono, gli ambienti si definiscono meglio, il passaparola raduna nuove persone, le nicchie di interesse, in un ambiente dove l’offerta supera spesso la domanda, separano gli utenti in una direzione o in un’altra. Un certo tipo di persone si affollerà su Friendfeed, altri preferiranno Tumblr, enormi masse migreranno rapidamente da MySpace verso Facebook, una quota residuale, ma mediaticamente importante, si affaccerà su Twitter, altri inizieranno a traslocare le proprie foto e le proprie connessioni sociali da Flickr a Instagram. Nella fase florida piattaforma e sui fruitori procedono di concerto: le finalità sono differenti ma la traiettoria comune.


3 La fase della diaspora.

La terza e ultima fase dei social network è la fase della diaspora. La dispora è governata da diversi fattori ma di questi due sono largamente predominanti. Il primo è quello della difficile convivenza, già nel medio periodo, fra le esigenze degli investitori (le piattaforme, inizialmente offerte gratuitamente si sono nel frattempo finanziate quotandosi in borsa) e i dati di realtà. Uno su tutti, l’impossibilità di crescere per sempre. Da questo punto di vista le aziende tecnologiche assomigliano talvolta a quegli schemi piramidali nei quali, prima o dopo, la maggioranza delle persone perderà tutto. Una specie di reiterazione della new economy di vecchia memoria destinata a ripetersi ogni volta. La seconda ragione della diaspora è che il tentativo di rendere profittevole l’ambiente sociale che si è costruito, contrappone gli interessi della piattaforma a quella dei suoi affezionati. Si tratta in molti casi di un percorso lento e graduale, nella speranza che piccoli cambiamenti passino il più possibile inosservati: nei rari casi in cui si deciderà di modificare in maniera improvvisa l’essenza stessa del social network (esiste un caso recente e molto istruttivo che è quello della tiktokizzazione di Instagram) la distanza fra azienda tech e sui “clienti”, una distanza molto ampia che nei fatti è sempre esistita, si manifesterà in maniera fragorosa e impossibile da controllare.

2 commenti a “Le tre fasi dei social network”

  1. Bragadin dice:

    In pratica la versione elettronica dei salotti letterari (fatte le debite distinzioni riguardo alla quantità e qualità dei partecipanti)

    Bragadin

  2. Domiziano dice:

    Un aspetto che ritengo interessante, ma di cui non ho trovato analisi è (stato) il passaggio dai presocial di natura testuale quali i blog e twitter alla predominanza di quelli visivi come instagram e tiktok, con le vie di mezzo ibride come facebook e youtube.

    Trovo ci sia stato deciso alleggerimento della conversazione nel passaggio da contenuti densi, lenti nella fruizione e di portata tutto sommato limitata a quelli decisamente più leggeri (selfie, fashion e balletti), transitori, ma di molta più vasta propagazione. C’è stato, sintetizzando, un passaggio dalla discussione alla (auto)promozione.

    E anche, mi pare, da una predominanza maschile ad una femminile.