Agevolo per @mante con poche speranze. https://t.co/UYbCBNIVdA
— marco imarisio (@marcoimarisio) July 21, 2021
Ieri Marco Imarisio, che è un giornalista bravo che conosco, mi ha suggerito di leggere questo articolo di Repubblica in cui vengono (verrebbero) spiegate le ragioni a supporto della copertura mediatica della morte di Libero De Rienzo. Torno così a parlare della questione perché penso (da tempo) che il tema della qualità dell’informazione sia centrale per tutti noi e discuterne sia una buona cosa comunque.
Per conto mio le due debolezze del pezzo di Mensurati, debolezze usuali che ascoltiamo sempre in casi del genere, sono: una quella tante volte riaffermata del dovere di cronaca; l’altra quella dell’attacco interessato alla classe giornalistica
Sulla prima Mensurati scrive:
Il compito di un giornale e di un giornalista, però, non è quello di celebrare. Ma di raccontare i fatti. E se la notizia, come in questo caso, è una bustina di eroina trovata nella casa dell’attore, non pubblicarla sarebbe un errore. Grave. E pericoloso. Perché salterebbero i meccanismi di controllo e di imparzialità che sono alla base del rapporto con i lettori.
Il giorno in cui i giornali dovessero smettere di pubblicare le notizie, o peggio dovessero scegliere quali pubblicare – anche se lo facessero usando un criterio nobile e umanamente accettabile come quello del dolore arrecato – sarebbe un giorno un po’ più simile alla notte.
Sulla seconda questione, quella del muro contro muro di qualcuno contro qualcun altro dice:
Colpisce in particolare che molte delle critiche arrivate ai giornali provengano da una ben determinata categoria di persone. Intellettuali del cinema, professionisti della comunicazione, persone per dirla in breve che avevano una frequentazione diretta e personale con De Rienzo e con la sua famiglia.
Sono due sottolineature che, per quanto molte volte ripetute, restano interessanti fondamentalmente per una ragione: perché ignorano del tutto il centro della vicenda.
La seconda si risolve rapidamente: le critiche (eventuali) al lavoro giornalistico sono parte del lavoro giornalistico stesso, visto che esso è rivolto ai lettori. Così non sarà molto rilevante chi ne sia l’autore, quanto piuttosto se tali critiche siano fondate o meno. Invece i giornalisti hanno ogni volta questa specie di scatto del serpente che si erge improvvisamente alla caccia del nemico. Certo è puerile, certo è un po’ ridicolo.
La prima invece è un po’ più complicata. La retorica sul dovere alto e nobile del giornalismo è un tema che nessuno, credo (a parte forse il Beppe Grillo dei primi periodi), abbia mai messo in discussione. Nessuno crede che le notizie non vadano date, che se un attore muore di overdose (nel caso) quel particolare vada omesso, così come nessuno credo abbia mai ignorato o minimizzato il ruolo dell’informazione dentro le democrazie: il fatto è che sempre più spesso i giornalisti sembrano assorbiti dentro una dissociazione che – mentre citano i sacri principi dell’etica professionale- impedisce loro di osservare lo stato delle cose.
Il giornalismo professionale in Italia è di bassa qualità: vogliamo occuparcene una volta per tutte prima di invocare la protezione dei numi tutelari? La sensazione (mia) è che su questo semplice punto non vi sia accordo. E questo riduce la discussione, quando come in questi casi essa prova ad animarsi, a una noiosa contrapposizione di schieramenti.
Si tratta di un tema complesso e multiforme sul quale – mi spiace – ma i cittadini hanno pieno diritto di parola così oggi, per non tediarvi troppo provo ad aggiungere alla discussione pubblica un solo elemento fra i molti possibili. Giusto per vedere se su qualcosa sia possibile avvicinarsi o capirsi, migliorarsi e aiutarsi.
Questo elemento è la velocità.
Uno dei miti infranti del giornalismo nei tempi digitali è il suo innamoramento per la velocità. Arrivare prima degli altri. Cercare lo scoop. O sull’altro versante bucare una notizia importante. Lavorare di notte, perché il giornale deve andare in macchina con notizie migliori di quelle della concorrenza. Eccetera eccetera. Tutto un armamentario professionale che è morto senza che i giornalisti se ne rendessero conto e che è stato sostituito da una idea aggiornata di velocità che sarà possibile misurare in “secondi” e che – a differenza del passato glorioso – non garantirà alcuna rendita economica ma solo – ahimè – un vigoroso scadimento della qualità del proprio lavoro.
La velocità quando diventa velocità digitale e quindi riproducibile in un attimo e duplicabile senza sforzo da chiunque impone nuovi problemi che non riguardano solo il vecchio detto “Presto e bene non vanno insieme”, il più serio dei quali è quello, da noi italianamente ignorato, della liceità dei contenuti offerti a pagamento. Con quale pretesa chiederemo di pagare per il nostro lavoro se una quota rilevante di esso deriva dal remix non autorizzato di contenuti digitali altrui? Le norme sul copyright al riguardo sono tanto chiare quanto del tutto ignorate. Mi fermo: andremmo troppo lontano e in una diversa direzione.
Tornando al pezzo di Mensurati, il dovere di cronaca – sempre che esista – non significa centellinare ogni giorno notizie non confermate sulle cause della morte di un attore, modificandole e correggendole per mantenere alta l’attenzione del lettore, ma nel raccontare una notizia accuratamente, raccogliendo e controllando ogni elemento per poi eventualmente pubblicare. Questo è del tutto incompatibile con la velocità che domina il pensiero delle redazioni e che a forza di essere stressata consente oggi in Italia molto più che altrove di pubblicare qualsiasi cosa, anche la più improbabile, forti del fatto che, a differenza di un tempo, tali imprecisioni saranno rimediate (leggi: cancellate, smentite, ridicolizzate) da eventuali aggiornamenti.
La velocità è oggi il principale ostacolo al lavoro giornalistico ed è anche l’elemento che finisce per accomunare le redazioni ai social network o alle imprese editoriali meno autorevoli. Esiste un solo modo per affrancarsi da un simile giogo e per tornare a fare una informazione degna: rifiutarla.
Luglio 22nd, 2021 at 10:15
Massimo, il link è verso Repubblica, non verso il Messaggero.
Luglio 22nd, 2021 at 10:44
Grazie mille ho corretto
Luglio 22nd, 2021 at 22:14
Se invece che una busta di eroina fosse stato un vibratore o un computer aperto su un sito pornografico o se ci fosse stato un farmaco contro il parkinson?
Sarebbe stato “giusto” e “doveroso” riportare come mero fatto di cronaca questa circostanza?
Luglio 23rd, 2021 at 10:56
Purtroppo non posso leggere l’articolo di Repubblica perché non funziona con gli adblocker. Comunque magari sono io che fraintendo lo scopo del giornalismo, ma per me le cause della morte di un privato cittadino non fanno *mai* parte del diritto di cronaca, a meno che non rappresentino un’informazione utile per la comunità. Se si trova qualcuno morto di Ebola, lo voglio sapere e anche il prima possibile. Se si trova qualcuno morto di droga, anche se totalmente ovvio e al dilà di ogni dubbio, non vedo perché l’opinione pubblica lo debba sapere.
Non è una questione di “omettere le notizie”. Queste non sono notizie, sono nutrimento per la curiosità morbosa della gente.
Luglio 24th, 2021 at 20:42
copioincollo la parte che mi interessa esporre, mettendo gli asterischi nella parte più ovvia:
“Il giorno in cui i giornali dovessero smettere di pubblicare le notizie, ***o peggio dovessero scegliere quali pubblicare*** – anche se lo facessero usando un criterio nobile e umanamente accettabile come quello del dolore arrecato – sarebbe un giorno un po’ più simile alla notte.”
In sostanza fra le migliaglia di notizie giornaliere, le stesse sono già in partenza scelte per essere pubblicate a seconda delle emozioni che si vogliono evocare, perche se ci ridurremmo ai soli fatti, come questo blog ha evidenziato, ci son voluti 3 giorni per avere una “notizia”.
Resto sempre piú convinto che tra fare i giornalisti ed essere iscritti all’albo, c’è un abisso oggi difficile da riempire.
Luglio 25th, 2021 at 17:01
Questa fotta per la velocità mi ha ricordato Stefano Feltri, che pochi giorni fa si è imbestialito dopo che varie testate avevano ripreso la “sua” notizia dell’indagine su Renzi e Presta.
Leggere su di un social network questo genere di critiche fa sorridere, e vedere direttori di giornale prendersi a frecciatine su Twitter sopra a questo mostro sacro della Velocità era quasi paradossale.