Subisco le mie piccole infatuazioni letterarie. L’ultima in ordine di tempo riguarda Ernesto Sabato, scrittore argentino gigantesco del quale non sapevo nulla fino a qualche mese fa. Sabato ha avuto una vita lunga e piena di cose differenti durante la quale ha scritto molto poco. Tre romanzi in tutto e qualche saggio. I tre romanzi sono tutti collegati fra loro in una serie di rimandi che li saldano uno all’altro; i tre libri ruotano intorno al secondo, scritto nel 1961, che si intitola “Sopra eroi e tombe“. “Eroi e tombe” come Sabato amichevolmente chiamava il suo testo, è banalmente un enorme capolavoro. Uno dei grandi libri della letteratura mondiale. Lo è da sempre e io come al solito non lo sapevo. Mentre leggevo Sabato pensavo: ma quanti altri Sabato esistono là fuori che io non ho letto e che mai leggerò?
Ho scritto spesso di cimiteri e del mondo parallelo che contengono. In Bassa risoluzione descrissi una giornata di tanti anni fa a Pere-Lachaise seduto sotto un albero a pochi passi dalla tomba di Marcel Proust. Mi era venuta voglia di osservare il pellegrinaggio dei suoi ammiratori che arrivano da tutto il mondo al cospetto di quella anonima lapide scura: la ricordo ancora oggi come una giornata per me molto importante.
Sono venuto in bici, dopo essere sopravvissuto alle pericolose intersezioni di auto di Place de la Bastille (i parigini guidano come pazzi, rispettano i ciclisti come i milanesi e suonano il clacson come i napoletani) e aver pedalato per tutta Rue de la Roquette, la lunga strada dritta in leggera salita che porta al cimitero più famoso di Francia. Delle mie fissazioni per i cimiteri non vi dirò, sappiate solo che secondo me, dentro alcuni di quei luoghi, ma forse in tutti, va quotidianamente in onda un riassunto accurato della nostra vita: nel silenzio attorno a quelle lapidi un’invisibile radio privata trasmette il senso complessivo delle nostre esistenze. In ogni caso sono seduto qui sull’erba, sotto un bell’albero secolare, e tengo d’occhio alla mia destra la tomba di Marcel Proust. Che è una sepoltura senza sfarzi, un parallelepipedo basso e triste in marmo nero, con sopra tre piantine striminzite. E infatti i turisti cimiteriali passano lì accanto con la loro mappa in mano (un pieghevole che distribuiscono all’ingresso con la lista di un centinaio di celebrità sepolte da quelle parti) e proseguono senza vederla. Poi tornano indietro, guardano meglio e dicono: “Ah ecco è questa, non l’avevo notata”. Solo che una volta giunti lì di fronte non sanno più cosa fare. Qualcuno si fa fotografare accanto alla lapide, qualcun altro fa un segno della croce, alcuni scelgono un sassolino dal selciato e lo aggiungono agli altri disposti in fila sul marmo nero. Le brevi liturgie del ricordo.
Mentre ogni giovane americano sceso a Parigi viene da queste parti in pellegrinaggio sulla tomba di Jim Morrison, che infatti è l’unica transennata di tutto il cimitero (hanno transennato e ricoperto con una stuoia di vimini anche un albero lì nei pressi, perché i ragazzi incidevano la corteccia e ci attaccavano sopra i chewing gum) in questa mattina di primavera, davanti alla lapide di Proust saranno arrivati in dieci, compresa una signora giapponese che dopo un lungo girovagare è venuta tutta timida verso di me sotto l’albero chiedendo:”Proust?”. Le ho indicato il nome inciso sul marmo scuro e lei ha iniziato a ringraziarmi con ampi inchini.
Perché racconto tutto questo? Il fatto è che noi, a un certo punto, moriamo.
Le lapidi di Abelardo ed Eloisa, la tomba di Yves Montand o di Samuel Beckett, quella di Chopin o di Petrucciani, qui a Pere-Lachaise, sono un un tassello supplementare rispetto alle opere che hanno reso alcune persone adatte al nostro ricordo. Le modalità con cui un simile ricordo si esercita raccontano la nostra relazione con loro. Un rapporto personale, legato alla scrittura o alla musica, al cinema o al teatro, che spesso chiede un tributo tangibile in più Una relazione che, a un certo punto, domanda un gesto a bassa risoluzione.
Cosa fanno le persone che hanno amato la Recherce di fronte alla tomba del grande scrittore?
Nulla. Se ne stanno ferme, consumano la parte dolente e materiale del loro legame con l’artista nell’unica maniera possibile. Sono salite su un treno o un aereo e hanno camminato fino al luogo dove il loro eroe è sepolto; ora se ne stanno lì davanti, immobili ed emozionati.
A dispetto delle apparenze si tratta di una forma di vitalità molto grande.
E sempre a proposito delle mie usuali fissazioni il mio libro sulla vecchiaia termina così:
Hugo pubblica I miserabili nel 1862, quando di anni ne ha 60. il grandioso romanzo termina con la descrizione di un angolo nascosto del cimitero di Pere-Lachaise a Parigi dove si trova la tomba di Jean Valjean, il protagonista del libro. In un luogo deserto, vicino a un vecchio muro, sotto un grande tasso – scrive Hugo – c’è una lapide senza nome. A nessuno verrà in mente di andarla a cercare perché non è vicina ad alcun sentiero e l’erba lì attorno cresce folta e bagna i piedi. Al massimo, quando c’è un po’ di sole, andranno a visitarla le lucertole. Sulla tomba qualcuno ha scritto a matita i quattro versi di una poesia che ormai il tempo avrà cancellato:
Il dort. Quoique le sort fut pour lui bien étrange,
Il vivait. Il mourut quand il n’eut plus son ange.
La choise simplement d’elle-même arriva.
Comme la nuit se fait lorsque le jour s’en va.Nel più celebre cimitero di Parigi non esiste alcuna tomba come quella descritta nell’ultima pagine de I miserabili. Nonostante questo sono sicuro che un certo numero di persone, non so se alcune o moltissime, avranno provato almeno una volta a rintracciare quel vecchio muro, quell’albero e quella lapide senza nome. E dopo averci provato quel mancato ritrovamento non sarà sembrato loro nemmeno troppo strano: i luoghi veri non sono segnati su nessuna carta. Questo libro in fondo – me ne accorgo solo ora – si è occupato soprattutto di questi.
Molti anni prima, senza che io lo sapessi, Ernesto Sabato indagava i legami fra arte e letteratura ne L’angelo dell’abisso (il terzo volume della trilogia di cui vi dicevo) e a un certo punto scrive:
In un giorno d’autunno del 1962 con l’ansietà di un adolescente, andavo cercando il cantuccio in cui aveva “vissuto” Madame Bovary. Che un ragazzo cerchi i luoghi in cui patì un personaggio di romanzo è già sorprendente: però che lo faccia un romanziere, qualcuno che sa fino a che punto quegli esseri non siano esistiti se non nell’animo del loro creatore dimostra che l’arte è più potente della creduta realtà”
Aprile 25th, 2025 at 18:21
Mai sentito parlare di questo scrittore. Ovviamente me lo segno.
Aprile 27th, 2025 at 09:21
di Sabato me ne avevano parlato ma non ho poi mai approfondito
Grazie Mante, per tutto il post e anche per tutto il resto