Quando si parla di persone che bruciano i libri il primo riferimento storico che viene in mente è quello del 10 maggio 1933 a Berlino. Adolf Hitler è salito al potere da qualche mese, gli studenti di una associazione nazista, forse desiderosi di far parlare di sé (in effetti ci riusciranno), selezionano nelle varie biblioteche della città ventimila volumi di autori “contrari allo spirito tedesco” e li bruciano in piazza. Goebbels in quell’occasione, mostrando un cipiglio futurista, disse che bruciare i libri era un’ottima maniera per “eliminare con le fiamme lo spirito maligno del passato”. Il rogo dei libri – “per eliminare la corruzione giudaica dalla letteratura tedesca” è il primo di una lunga lista di orrori di cui il regime nazista si macchierà negli anni successivi.
Nel secolo delle due guerre mondiali il rogo di Berlino non era stato nemmeno il primo. Il 25 agosto 1914 i tedeschi, insieme ad ampie altre distruzioni, assassinii e torture di civili e deportazioni, avevano bruciato intenzionalmente la biblioteca di Lovanio nella quale erano conservati 230.000 libri e 700 manoscritti medievali. Il sacco di Lovanio, l’indignazione che scatenò in tutta Europa, condizionò l’ultima parte della prima guerra mondiale.
Il 15 maggio 1948 scoppia la guerra arabo israeliana. Gli israeliani la chiamano “guerra d’indipendenza”, i palestinesi “la catastrofe”. Durante “la catastrofe” circa 700.000 palestinesi furono costretti a lasciare le loro case. Abitazioni abbandonate in fretta, spesso con i libri dentro. Nel 2012 a Documenta Emily Jacir presenta Ex Libris, un lavoro inconsueto. Jacir, una giovane artista palestinese, ha scoperto che alla biblioteca nazionale di Gerusalemme sono conservati, in una sezione apposita chiamata AP (abandoned property) i libri che i palestinesi avevano nelle loro case prima dell’esodo forzato del 1948. Sono foto a bassa risoluzione, scattate con un telefono cellulare (un Nokia n8), quasi sempre ad illustrare piccoli particolari: un santino o un fiore secco trovato fra le pagine, un appunto a margine, un ex libris. Nel lavoro di Jacir che sfoglia quei volumi per la prima volta 50 anni dopo, viene descritto, ad altissima e inattesa risoluzione, il legame fra quei libri (che nessuno aveva davvero abbandonato) ed i loro legittimi proprietari.
Un’interpretazione benevola del passaggio dei libri dalle case dei palestinesi alla biblioteca nazionale israeliana riguarda la supremazia della parola scritta sulla stupidità degli uomini, la sua permanenza nonostante tutto, la piccola, scarsamente consolatoria vittoria di quei piccoli oggetti di carta e inchiostro sull’odio reciproco. Si tratta di un’idea romantica molto facile da adottare secondo la quale i libri, tutti i libri, debbano rimanere patrimonio comune comunque e sempre, qualsiasi siano le parole che contengono. La metafora della loro intenzionale distruzione resta così una delle più convincenti metafore della miseria umana.
Il 23 maggio 2024 il giornalista palestinese Younis Tirawi ha pubblica su Twitter questa foto.
È l’autoscatto di un soldato israeliano a Gaza immortalato mentre sta dando alle fiamme i libri della biblioteca della Aqsa University. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver aperto un’inchiesta al riguardo.
Aqsa University nasce a Gaza nel 1955 come scuola di formazione per insegnanti per poi diventare una Università a tutti gli effetti negli anni successivi. Il dottor Wiesam Essa, geografo di quella università, è stato visiting professor all’Università di Manchester dal 2019 al 2021. È morto a Gaza nel gennaio 2024 in seguito al bombardamento della sua casa da parte dell’esercito israeliano. Sua moglie ed i suoi figli sono sopravvissuti. L’università di Manchester nel mese di dicembre aveva offerto a Essa un posto in UK ma era stato impossibile per il professore trovare una maniera per uscire da Gaza.
Bruciano i libri: accanto a loro muoiono o si allontanano le persone che li amano.
Maggio 26th, 2024 at 08:16
Immagine straziante. Ma i crimini dello stato sionista non saranno dimenticati.
Maggio 27th, 2024 at 09:27
Ricordatevi anche, dall’altra parte, una storia molto più antica (ed in altri paesi perpetuata), quella del Califfo di Alessandria che, quando gli chiesero cosa dovevano fare della grande biblioteca di Alessandria da lui conquistata, rispose: “Se tutti quei libri dicono ciò che dice il Corano, sono inutili. Se dicono cose diverse, sono dannosi. Nell’un caso e nell’altro, meglio bruciarli”.
Non mi pare quindi che ci sia qualcuno totalmente senza peccato
Maggio 31st, 2024 at 10:30
@sergio Spagnoli: a parte che gli storici non sono concordi riguardo alla veridicità dell’episodio citato, ma se anche fosse, non giustificherebbe la gravità del gesto compiuto in questi tempi.