Ci sono spesso articoli sulla stampa italiana che non si curano del concetto di causalità. Forse perché è un principio che non amiamo troppo e che frequentemente preferiamo sostituire con il più astrologico dominio della casualità.

L’ultimo di questi domini di cause improbabili, di cui leggevo poco fa, sottolinea come una delle ragioni della longevità della regina Elisabetta sia il fatto che ogni giorno della sua vita ha mangiato un particolare dolcetto di cui sarebbe segretamente ghiotta. È la versione attuale del vecchio assioma: mio nonno ha fumato il sigaro tutta la vita ed è morto placidamente nel sonno a 98 anni.

Bisogna essere scemi per pensarlo (per trasformare il caso in causa) e noi, modestamente, tendiamo ad esserlo.

Altro esempio della lesione del nesso di causalità lo possiamo rintracciare in questo commento del bravo Filippo Ceccarelli alle vicende di questi giorni che riguardano i candidati del PD ed il pesante fardello delle parole che negli anni hanno scritto in rete e che oggi mettono in pericolo (e talvolta spengono) le loro candidature alle prossime elezioni. Scrive (egregiamente) Ceccarelli:


È difficile stabilire se l’odierna visibilità, figlia della moltiplicazione degli schermi, sia la causa o un effetto di questi procurati incidenti; sta di fatto che il regime dell’auto-apparenza accompagna passo passo una classe politica che nei social si esprime attraverso un costante sfogo di narcisismo, esibizionismo, imprudenza, faccia tosta, leggerezza e volatilità. In altre parole le piattaforme digitali sono a tutte le età e a tutti i livelli del potere l’ideale palcoscenico dell’odierna crisi italiana, ma anche il luogo meno difeso rispetto alle possibili, anzi certissime incursioni del nemico (pure lui, comunque, in via di disfacimento).



Il pezzo è tutto molto bello ma manca secondo me il punto fondamentale, una questione che attiene ancora una volta alla diatriba fra causalità e casualità. Ceccarelli ci gira intorno come un moscone accurato e indagatore ma alla fine decide di affidarsi all’idea più immediata e spicciola.


Quando non c’è più passato, né quindi futuro, ognuno fa un po’ quello che gli capita. E l’eterno presente dei social non perdona, ma condanna e basta, senza che serva mai a nulla.



Abbiamo da anni moltissimi ripetuti riscontri del fatto che l’eterno presente dei social che, per dirla con Ceccarelli, non perdona ma condanna e basta, in realtà gioca un ruolo del tutto residuale nella geografia generale della reputazione digitale, non solo dei politici. Qualsiasi enormità che tu potrai aver scritto o detto on line riceverà un immediato oblio comunque, sia che sia stata pronunciata dieci anni fa o due giorni fa. E questo nonostante gli sforzi del tuo avversario di sottolineare e riproporre le tue contraddizioni e le tue pochezze. Nel caso dei giovani candidati PD messi alla gogna in questi giorni sembra essere avvenuto il contrario ma così non è. Sarebbe bastato attendere qualche giorno e il fuoco fatuo dell’indignazione si sarebbe spento da solo.

La differenza fra le cretinate vergate in rete da Matteo Salvini o dal giovane Raffaele La Regina è solo nel fatto che La Regina per i media è un nuovo entrato senza reputazione e quindi quelle stupidaggini lo definiscono con apparente maggior nettezza rispetto a Salvini il cui profilo reputazionale è più noto e dettagliato.

Del resto uno dei grandi sogni che avevamo sugli effetti sociali delle reti digitali molti anni fa era che l’enorme archivio a portata di mano di tutte le parole del mondo avrebbe finalmente inchiodato i peggiore alla evidenza delle loro contraddizioni e delle loro miserie. Abbiamo rapidamente scoperto che accadeva l’esatto contrario.

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