Quando quindici anni fa iniziammo a scrivere di Grillo e dei grillini, della patina di innovazione tecnologica che un comico di talento spalleggiato da un oscuro consulente aveva sparso sull’Italia, un paese, allora come oggi, dalle modeste competenze tecnologiche, e come tale ben disposto a farsi ammaliare delle romantiche idee di una rivoluzione digitale, era già tutto abbastanza chiaro.

Era chiaro che si trattava di un esperimento enorme, nella sua assurdità, e come tale meritevole di ogni attenzione, così come era altrettanto chiaro che l’inedita declinazione di un populismo basato sull’infarinatura di una presunta democrazia digitale sarebbe prima o poi finita come oggi sta fragorosamente finendo.

È durato poco? È durato moltissimo? Non saprei. Di sicuro è stato un movimento politicamente molto rilevante, in senso quantitativo così come in senso qualitativo. Perché è stato un Movimento che in un certo istante ha attirato verso di se un terzo degli italiani con diritto di voto e perché le innovazioni che ha introdotto nella contrapposizione politica, in primissimo luogo una nuova idea di comunicazione irriverente e violenta, hanno poi aperto la strada ad una tecnica di comunicazione politica che un po’ tutti hanno imitato.

Quindi non so, è durato poco? È durato moltissimo? Ovviamente la mia idea al riguardo (cioè, in sintesi, che il grillismo sia stata una delle usuali maniere attraverso le quali questo paese sa fare del male a se stesso) conta il giusto. Quello che mi sembra contare di più è che l’arco temporale di una simile parabola è stato influenzato in maniera molto importante dal divario digitale degli italiani, la cui attitudine alla creduloneria (una creduloneria interessata, che abbiamo da secoli, un sentimento di convinto sostegno che esattamente come è venuto improvvisamente se ne va) gode da sempre di ogni alone di mistero che il saltimbanco di turno saprà creare. E nell’ultimo mezzo secolo la tecnologia è stato il principale e il più sorprendente coniglio estratto dal cappello fra i molti disponibili.

Il mix formidabile fra la vasta ignoranza digitale degli italiani e l’alone magico della tecnologia sono state la ragione per cui da noi un simile approccio, una sorta di populismo digitale dall’anima segretamente reazionaria, ha raccolto un così vasto successo.

È durato poco? È durato moltissimo? Non saprei, quello che so, quello che la parabola del movimento politico di Beppe Grillo ci insegna, è che eravamo e tuttora siamo esposti ad ogni tempesta.


Un commento a “Grillo: esposti ad ogni tempesta”

  1. sergio spagnoli dice:

    È durato troppo.
    Soprattutto insegna che la storia non insegna (Achille Lauro, Guglielmo Giannini) e che il corpo elettorale italiano si conquista anche con banali promesse (RDC) che poi fai pagare agli altri o millantando una propria inesistente diversità dai predecessori.
    Tutto ciò è molto triste