Francesco De Gregori ha compiuto 70 anni. Ho letto moltissimi articoli al riguardo in questi giorni (il migliore forse questo di Giulia Cavaliere) e mi è venuta voglia di scriverne.

Ho iniziato ad ascoltare le sue “cassette” – credo – ai tempi di Rimmel, più o meno all’inizio del liceo e De Gregori è stato – come è accaduto a molti – un pezzo importante della mia formazione musicale. Come capita ai grandissimi talenti la sua vera parabola è durata un decennio, una traiettoria luminosissima che poi, come succede ai più fortunati, si è prolungata nei periodi successivi in un lungo brillante artigianato, quel mestiere del cantautore, che è durato fino ad oggi.

Però quei dieci anni (diciamo il periodo che va da Alice non lo sa a Titanic) sono stati davvero formidabili, o così almeno a me è sembrato.

Dovessi dire un aspetto che ha reso per me De Gregori differente dai molti altri artisti che amavo in quegli anni, direi questo:

che le sue canzoni sono state importanti per farmi amare la poesia.

Gli stupidi violenti che lo contestarono sul palco del Palalido ai tempi di Buffalo Bill lo accusavano di scrivere testi troppo ermetici, di non essere utile alla causa. Era vero l’esatto contrario: le canzoni dell’album della pecora o i testi di Rimmel sono stati utili ad una causa ben più importante e forse diametralmente opposta a quella ideologica degli autonomi di quegli anni. E la causa era: prendere un adolescente e fargli amare un testo che diceva:

E Cesare perduto nella pioggia
Sta aspettando da sei ore il suo amore ballerina

E poi più avanti, accelerando:

Conoscete per caso una ragazza di Roma
La cui faccia ricorda il crollo di una diga?

Tutto questo, e molte altre sue parole in fila a queste, sono state per me, ripensandoci ora così tanti anni dopo, perfino più importanti del resto del pacchetto che De Gregori offriva su piazza. La grandezza delle sue canzoni, il suo fascino personale, il timbro caldo della sua voce, una certa intelligente ritrosia (che ha fatto il paio per molti anni con un atteggiamento non esattamente simpaticissimo quando era sul palco).

Quel poco di poesia che ho iniziato a leggere in quegli anni e che mi ha accompagnato per il resto della mia vita è stata anche merito suo. E se anche se tutto questo lui, come un’Alice qualunque, non lo sa, io ugualmente gliene sarò grato per sempre.

Un commento a “De Gregori e la (mia) poesia”

  1. Carolus dice:

    Non ho mai apprezzato particolarmente i cantautori italiani tuttavia riconosco a De Gregori un tocco poetico poche volte raggiunto da altri musicisti italiani.