Il mistero di questa foto, che ha scatenato discussioni in tutto il mondo per anni fin da quando nel 2006 il fotografo dell’Agenzia Magnum Thomas Hoepker decise di diffonderla, rimase tale per pochi mesi. Una delle persone ritratte nello scatto lo risolse rapidamente. Il signore all’estrema destra nella foto, spiegò con una mail a Slate, dopo che da giorni sui media americani se ne discuteva, cosa davvero era successo:
A snapshot can make mourners attending a funeral look like they’re having a party.Thomas Hoepker took a photograph of my girlfriend and me sitting and talking with strangers against the backdrop of the smoking ruin of the World Trade Center on September 11th. Earlier, she and I had watched the buildings collapse from my rooftop in Brooklyn and had made our way down to the waterfront. The Williamsburg Bridge was filled with hundreds of people, covered in dust, helping one another make their way onto the street. It was clear that people who ordinarily would not have spoken two words to each other were suddenly bound together, which I suppose must be a fairly common occurrence in the aftermath of a catastrophe.We were in a profound state of shock and disbelief, like everyone else we encountered that day.
Il fotografo aveva scattato senza poi avvicinarsi e senza chiedere nulla alle persone ritratte: il messaggio contenuto in quell’immagine era ingannevole. Eppure quella foto, che da quel momento non fu più né controversa né misteriosa, è importante lo stesso.
Intanto ci è utile per ricordare che le fotografie trasportano significati che superano il contesto rappresentato. Parlano di chi le ha scattate e parlano di chi le sta guardando in questo momento. Annie Ernaux ha costruito una parte rilevante della propria attività di scrittrice osservando sbiadite fotografie della propria infanzia. Attraverso quelle fotografie, mentre Ernaux racconta di sé e della sua famiglia, parla di noi e delle nostre.
Poi perché, come nel caso della foto dell’11 settembre di Hoepker, mentre la potenza dell’immagine suggerisce interpretazioni intuitive e immediate, nel caso in questione quella di una inconcepibile distanza sentimentale delle persone ritratte dall’enorme tragedia in corso lì accanto, quel sentimento ci viene in mente perché esiste, perché lo abbiamo visto o ci è capitato di sperimentarlo. Noi lo proiettiamo su quell’immagine, noi, sbagliando, imputiamo quelle persone di un stato d’animo che ci è familiare. Mentre lo facciamo è come se quella foto smettesse di essere falsa. Falso il contesto ma vera la rappresentazione — una delle molte possibili — della nostra insensibilità.
A tale proposito mi sono tornate alla mente due situazioni che hanno analogie con la filigrana che vedo in quella foto.
Il pomeriggio dell’11 settembre mentre in Italia seguivamo in diretta TV e in rete il crollo delle Torri Gemelle un mio conoscente annunciò che lui stava uscendo a fare una passeggiata. Io lo guardai con la faccia di chi dice “ma non lo vedi cosa sta succedendo?”, lui salutò e uscì. Del resto era una bella giornata.
Qualche anno dopo, mentre seguivo su Twitter le prime notizie sugli attentati a Charlie Hebdo a Parigi, la mia timeline, piena di persone attente e preoccupate come me, era a tratti punteggiata dai soliti messaggi di alcuni conoscenti che pubblicizzano tranquillamenti i loro libri o le conferenze alle quali avrebbero partecipato di lì a poco. Ma non lo vedi cosa sta succedendo?
Non siamo tutti uguali. Alcuni vedono quello che sta succedendo, altri no. La foto di Hoepker parla di loro e ci ricorda chi siamo e chi sono.
Magari quella foto mi è servita per far sì che alcuni di quei miei “amici” su Twitter smettessi di seguirli.
Altri ancora vedono quella foto e reagiscono diversamente da noi. Anche uscire a fare una passeggiata mentre il mondo collassa è una scelta da vagliare con qualche attenzione. L’insensibilità che vediamo negli altri richiederebbe cautele che spesso non ci sentiamo di accordare. Ed è un peccato.
Infine quella foto — come tutte le foto — fa il suo lavoro, anzi i suoi molti lavori come abbiamo visto, solo se saremo disposti a considerarla un frammento. Lo dice benissimo Luigi Ghirri. Che è purtroppo morto troppo presto ma che sulla fotografia aveva capito molte cose importanti:
“la fotografia è solo un’immagine vaga del mondo, come l’ombra di una macchina che passa e si proietta su un muro”
Originariamente pubblicato su Medium l’11 settembre 2019.