Molti anni fa, quando ero molto giovane – qualcuno lo sa – scrivevo musica (una specie), musichette da poco che alcune volte sono anche finite in qualche disco (quei pezzi rotondi di vinile nero oggi tanto di moda).
Nella mia camera, a un paio di metri dal letto, c’era un synt (un meraviglioso e gloriosissimo Roland Juno106 che poi sciaguratamente vendetti) che spesso suonavo in cuffia di notte.
Una notte feci un sogno impossibile. Sognai di aver composto la canzone perfetta: il testo e la musica erano meravigliosi, sarebbe stato di sicuro – pensai a occhi chiusi – un enorme successo. Mentre sognavo – era forse uno di quei sogni che consentono qualche mediazione – mi dissi che al risveglio era assolutamente necessario che me la ricordassi.
Mi dissi, anzi, che avrei dovuto occuparmene subito. Mi sarei svegliato, mi sarei alzato, avrei acceso il synt e avrei continuato a cantare e suonare quel brano anche da sveglio, così da poterlo ricordare e registrare.
Mi dissi che avrei dovuto agire con grande velocità perché il diaframma fra sonno e veglia sarebbe stato probabilmente brevissimo.
Così – continuando a sognare – ripetei per sicurezza quella melodia celestiale e quel testo meraviglioso un paio di volte e poi mi dissi che era giunto il momento di svegliarsi.
Per qualche ragione funzionò.
Mi svegliai, mi sedetti sul bordo del letto e da lì rapidamente guadagnai la postazione di fronte alla tastiera. La accesi, indossai le cuffie (saranno state le tre di notte) appoggiai le mani sui tasti e…
mi ero dimenticato tutto.
Non ho potuto non riandare a questo ricordo curioso (e al rimpianto per il mio Juno106) quando oggi mi è capitato sotto gli occhi quello che Pessoa scrive nel 1930 e che il giovane Mantellini degli anni 80 nemmeno immaginava.
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Quando sono sdraiato nella mia poltrona e solo un tenue filo mi lega alla vita, con qualche chiarezza descrivo nella mia riflessione, dettandoli dall’inerzia, i paesaggi che non potrò mai narrare e le frasi che non scriverò mai! Scandisco periodi interi, perfetti in ogni loro parola; ascolto trame di drammi che esistono solo nella mia immaginazione; seguo verso per verso la scansione ritmica di interi poemi; e un grande […] come uno schiavo invisibile mi segue nella penombra. Ma se mi muovo dalla poltrona dove alimento queste sensazioni quasi perfette e mi siedo al tavolo per scriverle, le parole svaniscono, e i drammi si interrompono; e di quel nesso vitale che univa il mormorio del ritmo, resta soltanto uan remota nostalgia, una traccia di sole su monti lontani, un vento che fa mulinellare le foglie su una soglia deserta, una parentela mai rivelata, i piaceri degli altri, la donna che speravamo ci avrebbe rivolto il suo sguardo e che invece non esiste.
Ho avuto tutti i progetti possibili. L’Iliade che ho composto possedeva la logica di un’ispirazione e una successione ferrea di epodi sconosciuti a Omero. Al confronto con la studiata perfezione dei miei versi inesistenti l’esattezza di Virgilio è povera e la forza di Milton è fiacca. Le mie allegorie satiriche sono superiori a Swift per precisione simbolica e per perfezione dei dettagli. E quanti Orazi sono stato!
Ma ogni volta che mi alzo dalla poltrona dove queste cose ebbero un’esistenza che non è solo l’esistenza del sogno, provo la duplice tragedia di sapere che non esistono e che non sono state solo un sogno: che qualcosa di esse sopravvive sulla soglia astratta del mio averle pensate e del loro essere state.
Sono stato un genio in qualcosa di più che nel sogno e in qualcosa di meno che nella vita. La mia tragedia è questa: essere l’atleta che è caduto un attimo prima del filo di lana, mentre guidava la corsa.
(Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine, Feltrinelli Milano 1986)
Dicembre 19th, 2018 at 22:18
Io mi diverto a comporre musica elettronica, per hobby.
Mi è capitato più volte di sognare il “brano perfetto”: lo creavo senza sforzo nel momento stesso in cui lo ascoltavo, come fanno i grandi improvvisatori jazz.
Ovviamente al risveglio non ne ricordo mai nemmeno una nota.
Mi sono sempre chiesto se veramente ci sia tutto questo potenziale creativo nel nostro cervello, che solo i grandi artisti riescono a sfruttare durante la veglia, o se invece sia una grande truffa del nostro inconscio.
Magari il mio “brano perfetto” in realtà è un pezzo di Bjork che il mio cervello spaccia per mio, oppure è una stupidaggine di una banalità assoluta, che nel sogno percepisco invece come geniale.
La sensazione di perdita e nostalgia che provo al risveglio, però, è del tutto reale.
Dicembre 19th, 2018 at 22:19
@Massimo e siamo tre ;)
Dicembre 19th, 2018 at 23:00
oh myo dyo
https://www.discogs.com/Lucia-La-Isla-Bonita/master/145628
con pieri e crociani…..
ma fantastico :D
Dicembre 19th, 2018 at 23:01
Penso che possa essere il motivo per cui molti sono in grado di apprezzare la letteratura, ma pochi di produrla. Persino per un gigante come Pessoa, il momento creativo richiede quello sforzo critico che dissolve una parte del puro godimento
Dicembre 21st, 2018 at 09:21
Bellissimo libro quello. Ricordo una frase che mi rimase impressa.
Nella versione italiana:
“Perchè io ho la dimensione di ciò che vedo”
In quella inglese:
“I’m tall as the things I see”
Dicembre 22nd, 2018 at 12:17
A me capita con le immagini, specie nei dormiveglia. Vedo cose che se riuscissi a ricreare da sveglio mi proietterebbero nell’olimpo dei visionari, altro che i video sotto acido degli anni sessanta-settanta. Poi quando mi sveglio completamente dimentico tutto.
Con la musica no. Posso disegnare, scrivere, persino scolpire (mai fatto veramente ma so che potrei farlo con qualche risultato) ma la musica è totalmente al di fuori delle mie possibilità. Mai riuscito a mettere in fila 3 note. Ogni volta che ci provavo poi non riuscivo mai a liberare la mente da musiche e melodie già esistenti.
Comunque quando ero molto giovane un Roland Juno106 non me lo sarei mai potuto permettere.