Quando Ilario è morto, un paio di mesi fa, io e mia sorella abbiamo dovuto pensare a come e dove seppellirlo. Lui in vita non si era mai occupato della questione, che è poi una forma di rimozione che comprendo perfettamente. Sapevamo solo che avrebbe voluto essere sepolto nel cimitero di Dovadola, accanto a sua madre. Ilario era nato a Portico di Romagna nel 1931. Il cimitero di Dovadola è un piccolo cimitero di collina delimitato da cipressi secolari, alcuni dei quali nel frattempo hanno ceduto all’incuria dei vivi e agli insulti del tempo. La simmetria di quel rettangolo pieno di croci è andata così un po’ perduta, come molte altre cose della nostra vita. A Dovadola nella piccola tomba di famiglia, acquistata mezzo secolo fa da una zia con un po’ di raziocinio, c’era spazio solo per le ceneri. Così ci ha detto un giovane e gentilissimo geometra comunale quando abbiamo chiamato per informarci. E ceneri siano, abbiamo pensato. Così abbiamo iniziato un rapido e sconosciuto viaggio fra crematori, modelli di bare, tipologie di urne, certificati, domande via mail, telefonate, lapidi da incidere. Nulla di particolarmente interessante. In questi giorni, camminando per Hampstead Heath pensavo che forse il pellegrinaggio occasionale sulle tombe dei nostri cari è un meccanismo imperfetto. E che il ricordo delle persone che amavano questo parco inciso sulle panchine di legno lungo i viottoli di questa collina ne è invece una forma molto più efficiente.
Aprile 6th, 2018 at 11:25
Bello.
Seppur in adorazione di certi cimiteri secolari e soprattutto di quelli in collina, trovo anch’io presuntuoso che chi attraversa l’esistenza per 70-80-90 anni debba rimarcarlo con delle pesanti costruzioni in marmo: soprattutto a fronte di alberi secolari che son lì da ben più tempo e lì resteranno per chi sa quanti anni ancora.
Meglio affidare il ricordo a oggetti deperibili come noi in tempi più modesti del marmo nei cimiteri.