Dovessi definire chi sia un editore direi che l’editore, ieri come oggi, è tre cose assieme.
1) una piattaforma, vale a dire un sistema di pubblicazione. Vale a dire un giornale, o un libro o, oggi, un sacco di altre cose (un sito web, una mailing list, una app ecc. ecc.)
2) un filtro, vale a dire un sistema di selezione, automatico o manuale che metta in evidenza questo o quel contenuto pubblicato.
3) un modello economico, vale a dire una pianificazione che consenta di ricavare denaro dai punti 1 e 2.
Per molti anni un numero rilevante di piattaforme di rete non erano editori. Non nel senso complessivo dei tre punti sopra descritti. Quasi sempre mancava il punto 3, in un certo numero di casi (penso a Usenet ed ai gruppi di discussione) mancava anche il punto 2.
La nostra idea di editore è legata ad una convinzione superata e rigida di cosa sia e come si comporti il filtro e di come sia possibile costruire piattaforme e sistemi di emersione dei contenuti che non assomiglino in maniera chiara ai vecchi editori dei giornali e dei libri di carta. In realtà oggi quasi tutte le piattaforme di rete hanno una connotazione editoriale più o meno spinta. II punto fondamentale è che la deriva editoriale (chiamiamola così perché si tratta di una delle sciagure della Internet recente) è oggi una tendenza che va accentuandosi.
Google è sempre stato, tecnicamente, un editore. Perché dal pagerank in avanti chi gestisce privatamente l’algoritmo dei propri risultati costruisce senz’altro il modello editoriale che ho descritto qui sopra. Ma la tendenza editoriale del motore di ricerca che all’inizio era assai modesta è andata aumentando di anno in anno. Questo ha reso Google un motore sempre meno efficiente ed una piattaforma editoriale sempre più potente. Le due cose del resto sono intimamente connesse.
Twitter e Facebook sono nate come piattaforme quasi pure e con modesti tratti editoriali ma hanno costantemente accentuato questi ultimi negli anni, seguendo con maggior o minor fortuna l’interesse del proprio modello economico. Le piattaforme di blog un decennio fa erano di fatto piattaforme quasi pure (il valore di questo o quel contenuto era accentuato da orpelli tecnologici come i trackback o i feed RSS che non prevedevano grandi interventi centrali per l’emersione del valore). WordPress per esempio, prima di inventarsi wordpress.com, era pura piattaforma.
Tutta la discussione di questi giorni sugli interventi umani di Facebook nella compilazione della lista dei suoi trending topic è contemporaneamente interessante e del tutto inutile. Perché se Facebook ci racconta da anni (esattamente come Twitter o come Google) che i propri algoritmi sono scritti nella logica di creare valore per gli utenti e solo per quello e se il valore per gli utenti è evidentemente la moneta di scambio fra le piattaforme sociali e gli investitori è altrettanto chiaro che fino a quando gli algoritmi saranno non trasparenti (e non si vede perché non lo debbano rimanere) il valore economico di FB o Twitter dipenderà da due fattori che devono verificarsi contemporaneamente: il fatto che gli utenti continuino ad utilizzare quegli ambienti e il fatto che quegli stessi ambienti siano ecosistemi favorevoli agli investimenti pubblicitari. Quindi che siano tecnicamente adulterabili.
Morti e sepolti i tempi ingenui e storici in cui il pagerank di Google era solo il risultato del valore che le persone assegnavano ad un sito web linkandolo molto (morti e sepolti anche perché le persone non sono buone e avevano iniziato ad hackerare il sistema con le loro ridicole tecniche SEO) oggi Facebook e Twitter mirano al carico da 90 della nostra attenzione con la medesima grazia dei poveri telefonisti del telemarketing che chiamano sul numero di casa alle 8 di sera mentre stai cenando.
E mentre molta attenzione riceva la tematica politica che sta dietro alle polemiche di questi giorni (ebbene sì, buongiorno, la politica per l’editore è un bene di scambio come tutti gli altri) in realtà all’algoritmo interessa prima di tutto la nostra pubertà di consumatori. Quella sensazione inebriante che ci fa pensare, anche se abbiamo più di cinquantanni, che questa cosa meravigliosa che abbiamo scoperto in rete e che ci accingiamo a comprare sia stato il destino (o peggio la nostra grande astuzia) ad avercela messa di fronte.
Non è stato il destino e nemmeno la nostra astuzia.
E’ stato il nostro editore assieme ai suoi amici.
Maggio 14th, 2016 at 09:36
Nostalgia canaglia
Maggio 14th, 2016 at 11:22
i newsgroup Usenet moderati avevano anche il punto 2.
Maggio 25th, 2016 at 20:48
Una manciata di eruditi in epoca ellenistica creò il canone, selezionando gli scrittori che secondo loro valeva la pena leggere (e permettendone in larga parte la conservazione fino ai giorni nostri). Ad esempio, per i tragici. Ora quel ruolo lo va ricoprendo sempre più Amazon, o meglio il suo algoritmo. La scelta del saggio che leggeremo su un dato argomento, del film che guarderemo sono demandati a un algoritmo creato per scopi commerciali, e sarà via via più omologata. Mi pare che siamo solo agli inizi, e che le conseguenze sulla nostra società saranno profonde.