14
Apr
I’ve been writing online long enough to not attach my value as a person or writer to strangers’ opinions, but it would be a lie to say that the cumulative impact of being derided daily isn’t damaging. It is. It’s changed who I am on a fundamental level. And though I’d still like to think of myself as an optimistic person, being called a “cunt” or “whore” every day for a decade leaves its mark.
Un pezzo molto bello di Jessica Valenti sul Guardian sull’odio in rete, specie su quello verso le donne (che è frequentissimo).
Aprile 15th, 2016 at 10:41
“L’hate speech è un tema rilevante che va affrontato con intelligenza. Non perché io creda che le parole d’odio in rete siano un problema rilevantissimo (non lo sono troppo, tranne che in alcuni casi molto particolari) ma perché le parole d’odio oltre ad essere codarde e oltraggiose saranno una scusa per fare altro domani. Da questo punto di vista credo che il contenzioso legale in rete al riguardo sia in Italia ancora troppo modesto e incentrare nella discussione pubblica su singoli fatti personali contribuisce a creare un cortocircuito pericoloso. Invece che portare il diffamatore davanti ad un giudice (ma ancora prima più banalmente all’attenzione di Facebook che gli chiuderà il profilo), si preferisce occuparsi del tema in senso generale con editti del tipo: ehi voi, guardate, mi hanno offeso on line. Dobbiamo fare qualcosa! (Laura Boldrini docet). Una quota di imbecilli che scrive “devi morire” in rete rimarrà sempre, ma la parte più rilevante della discussione sulle parole d’odio riguarda altre persone, la maggioranza, e meccanismi basici di controllo dell’interfaccia.”
Aprile 15th, 2016 at 13:14
[…] (via Mantellini) […]