Utilizzo la notizia della morte di Umberto Eco come pretesto per un discorso sugli intellettuali in Italia. Parto da due punti in antitesi molto forti e un po’ grossolani.
Eco è stato per 50 anni un esempio unico di raffinato intellettuale nel senso ultimativo del termine: quello che comprende un legame indissolubile fra cultura accademica, conoscenza storica, comunicazione e nuovi media, divulgazione, intrattenimento. Per i suoi molti talenti, accademici e non, è stato in questi giorni giustamente ricordato con le modalità enfatiche che i social network riservano ai più grandi. Così la rete è piena di ricordi commossi del semiologo di Alessandria, di citazioni da articoli geniali, aforismi fulminanti, da saggi e romanzi che ne testimoniano la grandezza
Contemporaneamente, nell’ultima parte della sua vita, diciamo negli ultimi 10-15 anni, Eco ha scritto e dichiarato un numero considerevole di cose discutibili e ampiamente contestabili che riguardano l’universo digitale. Non ve le elenco qui, lo ho trascritte e stigmatizzate per molto tempo; chiunque abbia voglia e tempo le potrà ritrovare sparse un po’ ovunque in rete. Al di là della recentissima diatriba sugli imbecilli ne troverete moltissime che riguardano la qualità delle informazioni in rete, l’overload informativo, il ruolo di Wikipedia. La mia preferita è una frase di qualche anno fa che anticipa quella sugli imbecilli e che qui trovate citata in un tweet del 2013 della Treccani (tema interessante quello di una Enciclopedia di prestigio che sui social cita, quasi a marcate il proprio territorio, una battuta un po’ snob di un grande intellettuale )
"Questo è il bello dell'anarchia di Internet. Chiunque ha diritto di manifestare la propria irrilevanza" (U.Eco) #citazionedelgiorno
— Treccani (@Treccani) 15 Luglio 2013
Potete riporre le spade, non mi interessa discutere oggi il merito di simili affermazioni, l’ho fatto troppe volte negli anni, scontrandomi con inevitabili reazioni automatiche del tipo “Chi sei tu per poter contestare Eco?”.
Citare tutto questo mi serve solo per dire che, a un certo punto della sua vita, il ruolo di geniale intellettuale di Eco si è rarefatto, ha iniziato ad essere incerto e ripetitivo, ha mostrato minore aderenza con la realtà quotidiana, si è trasformato in un elegante eloquio di maniera. Ed io sono convinto che questo sia accaduto anche per colpa nostra.
La voce Wikipedia è un buon punto di partenza per ragionare su chi siano gli intellettuali, quali funzioni abbiano nella società e quanto siano salde le relazioni fra il loro ruolo e l’ambiente nel quale vivono. Noi scegliamo punti di riferimento che conoscano meglio di noi il mondo in cui viviamo. Per molti anni, a cavallo fra gli anni 60 e gli anni 80 del secolo scorso, il ruolo di Eco come intellettuale di riferimento non ha avuto eguali, tanto da essere stato premiato dal tributo massimo che si può riconoscere ad uno studioso raffinato. Il successo e la fama, al di fuori dei suoi usuali contesti di riferimento, per la sua attività di romanziere e la sua centralità di comunicatore. Talenti indiscutibili, riconosciuti da una platea ben più vasta di quella accademica.
Tuttavia il ruolo dell’intellettuale, da quando esiste Internet, è mutato rapidamente. Per parlare del mondo bisogna conoscere la storia e conoscere il mondo, invece i nostri punti di riferimento negli ultimi 20 anni sono rimasti quelli del contesto precedente.
Non siamo stati abbastanza veloci, non ci siamo saputi adattare. Eco era perfetto per decodificare il nuovo medium televisivo del dopoguerra, molto meno per indicarci la via nel contesto digitale. Questo per due ragioni molto umane e prevedibili: perché quasi tutti ad un certo punto della nostra vita veniamo sfiorati o più spesso colpiti in pieno dall’immobilità della pietra (una metafora meravigliosa contenuta nel racconto La vecchiaia di Natalia Ginzburg) e poi perché il buon dio, se-esiste, ha deciso che il talento che regala ad alcuni di noi non è eterno e ad un certo punto svanisce. Vale per chiunque, anche e soprattutto per i più grandi.
Eco ad un certo punto della sua vita ha iniziato a basare ogni sua esperienza (ed ogni sua comunicazione ex catedra) sulle sue vaste competenze sull’universo precedente, applicando idee e sensibilità che hanno continuato ad affascinarci ma che erano semplicemente inadatte alla comprensione dei tempi correnti. Noi – soprattutto – non siamo stati in grado di fare quello che le società moderne fanno quando il futuro accelera: rinnovare i propri punti di riferimento.
Nessun Paese simile al nostro ha riferimenti culturali tanto vetusti. In Italia un intellettuale è per sempre, molto più che altrove. Abbiamo decine di esempi di fronte agli occhi ogni giorno. Siamo una società sclerotizzata ed anziana che si basa su figure di riferimento a sé adeguate. Per citare Arbasino, una volta che si è diventati “venerati maestri” nessuno ti sposterà più di un millimetro dalle tue prerogative di voce del Paese.
Questa è la ragione per cui di intellettuali che conoscano il contesto digitale – che è il luogo sociologico dentro il quale tutte le nostre vite si stanno trasferendo, quindi il luogo principe dell’elaborazione culturale contemporanea –, che ne comprendano le dinamiche per averle sperimentate, che ne conoscano le raffinate difficoltà interpretative, semplicemente non ne abbiamo. I pochissimi che potrebbero aspirare ad un simile ruolo sono relegati ai margini della discussione culturale da un sistema che non si pone minimamente il tema del ricambio. Ogni giorno a simili raffinati esperti, omologhi contemporanei dell’Umberto Eco del Diario Minimo, preferiamo patetici divulgatori ignoranti da talk show o intellettuali luminosi ed inattaccabili dell’epoca precedente.
Nessuno di queste due categorie ci sarà utile per comprendere senza banalizzarlo il mondo in cui viviamo. Ma se la prima categoria rappresenta il trionfo contemporaneo degli imbecilli più pericolosi (non quelli quasi innocui che sproloquiano sui social network citati da Eco, ma figure analoghe per qualche ragione elette a guida da milioni di italiani ignari), la seconda, quella alla quale in parte apparteneva Eco nell’ultimo periodo della sua vita, è un simbolo luminoso, al pari di un editoriale di Scalfari la domenica mattina, di una società invecchiata moltissimo ed allergica ad ogni cambiamento.
Febbraio 21st, 2016 at 19:37
Trova le differenze. La pagina wiki in italiano è breve e parla di comunisti, quella inglese è lunga e non si ferma all’intellighenzia.
Febbraio 21st, 2016 at 19:52
“Questa è la ragione per cui di intellettuali che conoscano il contesto digitale …. semplicemente non ne abbiamo. ”
non del tutto vero. Cristian Raimo, sebbene troppo a sinistra per i miei gusti, è il primo nome che mi viene in mente (anche se mia madre non lo conosce mentre conosceva Eco).
Scalfari ottimo esempio di intellettuale “ammuffito” (non per colpa sua, è l’età) che da tempo sarebbe dovuto essere solo ricordato ma non più letto.
Febbraio 21st, 2016 at 19:54
ovviamente Christian
Febbraio 21st, 2016 at 20:48
E’ stata semplicemente l’età. E anche la mancanza di ricambio. Oggi l”intellettuale’ è Saviano, che ha scritto un ottimo libro sulla camorra e da allora è diventato esperto di tutto, pure di fisica delle particelle.
Febbraio 21st, 2016 at 21:50
Si sarebbe potuto fermare a quel che sapeva:
Da: Importante lezione per Critone. | Parole ed Immagini
Febbraio 22nd, 2016 at 01:01
Mi chiedo se in Italia ci sia spazio per intellettuali come David Winberger, Clay Shirky o Stephen Johnson…al massimo abbiamo Riccardo Luna, che passa da Il romanista a guru del digitale renziano….
Febbraio 22nd, 2016 at 03:46
Già, ma io ricordo (molto vagamente per la verità) una vecchia, se non vecchissima, intervista a Eco in cui si dilungava sui pregi e i vantaggi, per chi scrive come mestiere, del PC. Soprattutto del programma “Word” che per quei tempi era una novità assoluta. Credo che “Il nome della rosa” sia stato scritto, appunto, col PC (non sono sicuro però…) e stiamo parlando di tempi in cui tutti gli scrittori usavano la macchina da scrivere o, i più romantici, il notes. Del resto nel romanzo successivo il PC ha un ruolo centrale nella trama.
Insomma, l’età avanzata non gioca a favore -ne so qualcosa- quando si tratta di nuovi strumenti ma Eco non era poi quel passatista o misoneista che le sue ultime parole lascerebbero immaginare.
Febbraio 22nd, 2016 at 12:22
L’incapacità di stupirsi (e di stupire) mi pare che oggi sia trasversale a qualsiasi età, il propagare noia e disinteresse pure.
Febbraio 22nd, 2016 at 12:55
Con il dovuto rispetto e fatte le debite proporzioni, è un po’ come quello che accade nel calcio con Totti: lui non si rende conto di avere 40 anni, molti tifosi continuano a consideralo intoccabile. C’è una generazione che non ammette di invecchiare, quella dopo che non vuol crescere; consigliato a entrambe Zagrebelsky, “Senza adulti”.
Febbraio 22nd, 2016 at 14:13
Come specificato nell’articolo, forse uno degli elementi che determina la moria di intellettuali accreditati al grande pubblico è il fatto che gli studiosi di oggi non riescano a cogliere le grandi potenzialità del web: prevale una linea difensiva e conservatrice.
Febbraio 22nd, 2016 at 14:50
Eco entrò in Rai nel 1954 a 22 anni, scrisse “Fenomenologia di Mike Bongiorno” nel 1961 a 29 anni, “Diario minimo” nel 1963 e 31 anni, “Apocalittici e integrati” nel 1964 a 32 anni.
Fosse nato 30 anni fa probabilmente tratterebbe internet con l’apertura mentale con cui trattò la televisione e gli altri media a suo tempo.
Febbraio 22nd, 2016 at 18:43
L’impressione (di questo pezzo e di altri che sono stati pubblicati negli anni in mantellini.it) è che “il ruolo di geniale intellettuale” sia solo una frase fatta, che l’autore non saprebbe meglio giustificare o argomentare. Serve giusto a bilanciare l’affermazione che Eco è stato per 10-15 anni “incerto e ripetitivo, ha mostrato minore aderenza con la realtà quotidiana”.
Capisco che l’obiettivo sia porsi in termini polemici contro un modo di vedere internet, ed è legittimo. Però suona parecchio pretestuoso visto che si capisce che l’autore Eco lo conosce poco, e gli interessa ancor meno.
Febbraio 22nd, 2016 at 19:11
@piero è una critica che mi è stata fatta anche ieri su FB e che condivido. Osservo solo che la fama e il rispetto che Eco si è ampiamente meritato negli anni sarebbe stato molto utile alla causa della diffusione del digitale e che così non è stato (per limiti oggetivi di Eco che nulla hanno a che fare con la sua produzione culturale). E insomma che peccato
Febbraio 22nd, 2016 at 22:11
Suona come una tipica esternazione sul paese vecchio, che ha voltato le spalle al futuro, non capisce la contemporaneità e quindi innanzitutto il digitale. Di qui la riverenza per certi intellettuali. Ma in queso discorso niente torna. Perché in realtà la critica al digitale viene innanzitutto da quella cultura californiana critica verso le sue stesse invenzioni: viene dagli Evgeny Morozov, o dai Franzen. Nessuno dei due ha l’età di Eco e nessuno dei due è italiano. La nuova critica al digitale, alle majors californiane del digitale, è maturata proprio in quella stessa silicon valley dove hanno visto nascere la digital economy e ora ne vedono le devastanti conseguenze, sociali, economiche, di ogni genere come la gentrification di San Francisco, città dove ormai possono permettersi di vivere solo ricchi tecnici informatici ma non può più permettersi di vivere la gente comune, dall’insegnante al pompiere. Per es. ce lo racconta quasi quotidianamente sul suo blog: ninehoursofseparation una italiana che vive a San Francisco, Silvia Pareschi, la traduttrice di Franzen: «Ma quand’è che scoppia, questa bolla della tech economy? Voglio sedermi sulla sponda del fiume e vederne passare il cadavere.»
Insomma: nel 2016, in Italia, vivere ancora nel mito della silicon valley, della digital economy, e vedere i critici come degli intellettuali anzianotti che hanno perso il contatto con il futuro appare come un tentativo per non confrontarsi con una letteratura critica niente affatto “vecchia”.
Febbraio 23rd, 2016 at 11:36
Con la morte di Eco, lanciare barbariche grida in montagna non sarà più la stessa cosa.
Febbraio 24th, 2016 at 01:34
Eco aveva 84 anni e un lungo percorso di vita e di studi medievali e filosofici che lo hanno portato a fondare una nuova disciplina, la semiotica, a insegnare a generazioni di studenti (e quindi a dialogare con i giovani) e a essere un intellettuale riconosciuto nel mondo. Che poi non abbia compreso il web e i nuovi linguaggi è un fatto generazionale che non toglie nulla alla sua figura. Misurare sulla base del web la rilevanza o intelligenza di chiunque è una forma di narcisismo molto limitante. La cultura sta anche altrove. Uccidiamo pure i padri ma offriamo qualche alternativa sensata anziché la solita lamentatio.