Niente suona più stupido degli esseri umani quando parlano di sesso. Quando spiegano ad un database da qualche parte su Internet gusti e preferenze erotiche come fossero liste della spesa.
Così se c’è una prima impressione da segnare rispetto alla diffusione online dei dati di 32 milioni di utenti di un famoso sito di incontri canadese è che l’imbarazzo degli uni fa il paio con l’eccitazione degli altri. Da una parte i moltissimi che si sono iscritti al Ashley Madison utilizzando i propri dati personali, dall’altra il numero di quanti negli ultimi giorni sono andati a curiosare nell’archivio diffuso in rete per scoprire chi aveva combinato cosa.
La diffusione del database, per una volta, non prevede implicazioni politiche: si tratta banalmente dell’azione di qualche fesso che desiderava farci sapere che era davvero fesso quando ci spiega che quel sito è stato punito perché era una bufala, che il 90% degli iscritti sono maschi e insomma che da quelle parti si perde tempo e non si combina nulla di buono. Davvero troppo poco per imbastirci attorno una qualche storia di attivismo digitale.
Nemmeno le implicazioni sociologiche di un simile gesto, che negli ultimi giorni hanno prodotto sulla stampa USA decine di articoli pensosi, ironici o preoccupati, sembrano essere troppo diverse dal solito se non per due ragioni: il numero di “utenti” coinvolti che è molto ampio, il tema che fa da sfondo all’exploit tecnico, quello dell’adulterio nelle sue molte versioni digitali, che gode di enorme popolarità presso ogni strato della popolazione. Per venire incontro ad una simile esigenza popolare informatici della stessa pasta di quelli che hanno bucato il sito di incontri hanno reso disponibili online tool di ricerca per frugare fra i dieci giga di dati sottratti e messi in rete. Piccoli sciacallaggi molto prevedibili.
Eppure nello stesso momento in cui mogli o mariti preoccupati digitano la mail del proprio partner per scoprire se per caso il suo nome (ed i suoi gusti sessuali e il numero delle sue transazioni) sia compreso in quell’archivio sarà possibile accorgersi che l’aspetto rilevante di tutta la vicenda è proprio qui. Nella sua natura beghina e provinciale, fuori da ogni contrapposizione ideologica o etnica, politica o economica: nel suo essere pettegolezzo allo stato puro, con tutte le sue belle pezze d’appoggio digitali che indicano giorno e entità della cornificazione al mondo intero.
Non ci faremo distrarre da quanti hanno utilizzato indirizzi email governativi per le proprie peripezie sessuali, come se questo indicasse una violazione del loro mandato (ce ne sarebbero 11 anche in Italia a leggere le cronache) o dai 1200 cittadini dell’Arabia Saudita compresi nella lista (paese in cui l’adulterio è sobriamente punito con la pena di morte): tutto questo specificare e la potente ondata di pettegolezzo che alimenta l’intera vicenda non significa nulla di particolmente nuovo per la nostra privacy e nemmeno con la casa di vetro, pericolosa ed insalubre, dentro cui l’universo digitale ha costretto le nostre vite (e queste – vede signora mia – sono le conseguenze, come hanno scritto in molti).
No, l’unica cosa davvero rilevante che l’hack di Ashley Madison ci ha mostrato con enorme precisione è che siamo deboli e stupidi ad ogni latitudine, prevedibili e non particolarmente svegli, autolesionisti e umorali. E non è che non lo sapessimo già – signora mia – lo sapevamo già. Internet, come quasi sempre capita, c’entra davvero poco, se non per sottolineare un punto: nessuna privacy è finita, tranne quella dei cretini. Vale a dire, su Internet nessuna privacy è finita, tranne quella di quasi tutti noi.
Agosto 24th, 2015 at 19:55
Tutte le sacrosante volte che ci sono gravi violazioni della sfera privata delle persone c’è sempre una sottovalutazione del problema. Dai video rubati di Belen, alle email dei deputati del M5S, passando per gli archivi di Hacking Team con pubblicazione delle questioni private degli impiegati della società, per finire con questi ultimi di Ashley Madison. Le persone si buttano dalle finestre, ma noi sottilizziamo.
Invece, oltre a domandarsi come sia possibile l’impunità in questi crimini, non capisco come mai non si invochi un po’ di sana galera per i vertici delle società che non sanno mettere al sicuro le informazioni e per quelli che contribuiscono pelosamente a diffonderle.
La vicenda, quindi, significa molto per la nostra privacy. Significa che tutto il castello del cloud e delle nostre informazioni online lo si può smontare in un attimo. E dai dati dei siti per fedifraghi messi al pubblico ludibrio fino all’anagrafe tributaria su torrent il passo sarà breve.
Agosto 28th, 2015 at 17:00
Leggo che solo 3 account femminili su 10.000 erano veri e questo mi fa pensare due cose:
– ma perchè noi uomini dobbiamo essere semprecosì gonzi quandi c’è di mezzo il sesso e le donne ?
– tutto questo non dovrebbe portare i proprietari del sito dritti in tribunale per il reato di truffa continuata ?
Settembre 3rd, 2015 at 08:57
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Gli adulteri e le beghine online – manteblog