Ho iniziato ad amare la musica di Ivano Fossati ai tempi di “Panama e dintorni”. Più o meno trent’anni fa. Capita a tutti di avere un artista del cuore. Dovessi dire una canzone italiana di quando di anni ne avevo 20 direi i due minuti di “Stasera io qui” (la Casa del Serpente, 1977), dovessi dirne una dei miei 30 forse direi “Discanto”, oppure “Lindbergh”. Poi qualche anno dopo “Labile”. Poi, pescando fra le ultime, magari “Il Bacio sulla bocca”. Ma qualsiasi classifica dentro storie così lunghe perde di significato. La mia canzone preferita di Fossati non c’è: semplicemente quell’artista, più di tanti altri, ha accompagnato la mia vita fino a qui.

Così, ieri sera, questo blog e il resto della sua famiglia al completo, si sono trasferiti in un teatro di Bologna per ascoltare per l’ultima volta dal vivo l’uomo e la sua band. Entrando nel teatro Manzoni, sciccosamente rassettato a legni chiari e velluti rossi, mi è venuta in mente la prima volta che vidi Fossati in concerto. Decenni fa, nel vecchio palazzetto dello sport di Forlì, in uno scenario tristissimo fra i canestri del campo di basket, cartelloni di sponsor locali e spalti in gelido cemento come solo la provincia inizio anni ottanta poteva apparecchiare. Rimanemmo lì ad aspettare l’arrivo dell’autore di “Limonata e zanzare” per un paio d’ore e non si capì se davvero lui e il gruppo quella sera arrivarono in ritardo per qualche contrattempo automobilistico o se invece la scena sbirciata da dietro le quinte di una gradinata romagnola vuota di gente, mettesse troppa tristezza per uscirsene fuori e suonare musica che nessuno mostrava di amare troppo. Alla fine un simulacro di concerto a tarda ora andò in onda, per i pochi sfigati che quella sera d’inverno avevano pagato il biglietto.

In trent’anni molte cose sono cambiate. E giustamente. Ivano è diventato un raffinato signore di una certa età con una bella voce ancora intonata ed una fascinosa consolidata tendenza al polistrumentismo casuale (chitarre, pianoforte, flauto, armonica). Uno spettacolo anche per gli occhi, tanto che ad un certo punto, nel silenzio generale, una signora dal pubblico ha urlato a squarciagola: “Sei anche bello!”. Anche. Che la chitarra jazz e il piano a mezza coda evidentemente non bastavano.

Il pubblico del resto, me ne accorgo entrando, è quello raccolto in questi decenni. Il vasto branco di delfini che segue la scia di un’elica. Poca gente con meno di 40 anni in platea: il segno di un romantico attaccamento ma anche la dimostrazione di una parabola entusiasmante nella sua fase ormai discendente. Come nel caso di Paolo Conte, l’anagrafe degli ascoltatori è il segno più preciso di un certo didascalico appagamento. Del pubblico certo, ma soprattutto dell’artista stesso. E così è normale che sia: una platea di amanti corrisposti e sazi, disposti ad ascoltare anche dieci volte a fila Fossati che da solo al piano ripete per la milionesima volta “La costruzione di un amore” non è un giudice neutrale del tuo lavoro. È la scia riconoscente di decenni di grandi canzoni. “Bello – per parafrasare l’ardita signora – che c’importa del mondo?”.

Il concerto – dovendo dirla tutta – è quello che è: niente di speciale. Una scaletta un po’ pretenziosa (ma cosa non si farebbe durante l’ultimo giro di valzer per affrancarsi dai gusti previsti dei propri amati cultori), un gruppo di bravi musicisti che, come nella tradizione dei concerti di Fossati (ma in genere di moltissimi artisti italiani), si piegano ad arrangiamenti senza grande cuore (a parte una versione splendida de La Pianta del The), luci ed effetti bruttini, nebbia in sala tipo concerto dei Pooh. Tutto questo però per noi non conta. Il filo invisibile di una relazione amorosa durata così a lungo ha bisogno di ben altro per essere spezzato.

Un segno dei tempi attuali? Forse i cerberi controllori di sala che, ai bordi della platea, osservano ed ammoniscono a colpi di torcia negli occhi i fans che tentano di fare foto col cellulare. Non si sa bene se per tutelare il decoro generale o per assecondare il volere assurdo di qualche estremista della proprietà intellettuale. Niente foto al proprio idolo quindi: quello stesso signore che trent’anni fa, nel lugubre palazzetto dello sport di Villa Romiti, avrebbe pagato di tasca sua per un briciolo di umana attenzione. E chissà quanto per una foto.

Per anni a noi di Fossati è piaciuto quasi tutto: eravamo giovani. E innamorati. Così, che emozione quando il concerto si è aperto con “Viaggiatori d’occidente”, un brano che fino a ieri pensavo fosse piaciuto solo a me. Io che, giusto qualche mese fa, in giro a piedi per il Greenwich Village, ogni tanto ripetevo a mia moglie “Mai più un salto al Caffé Italiano perché non ci piace niente” (e lei che mi guardava con la solita faccia del tipo “ma cosa stai dicendo, scemo?”). Nel frattempo però anche Fossati è invecchiato. E noi con lui. Noi e lui, a debita distanza, abbiamo osservato i suoi lavori peggiorare. Un po’ certamente è stata colpa nostra, col tempo si diventa insensibili e duri. Passata una certa età perfino gli idoli, quei pochi che ci eravamo conservati scendono dal piedistallo. Alcuni, come Fossati, delicatamente. Altri senza tanti complimenti, per colpa del nostro oltraggio senile.

Fossati chiude con questo tour la sua carriera musicale. È una cattiva notizia piena di saggezza. Noi ieri sera siamo andati a dirgli ciao. Con gli applausi, come si usa fare in questi casi. Oh che modo curioso che hanno gli umani per dire grazie.

Grazie Ivano, clap-clap-clap. grazie.

17 commenti a “L’ultimo valzer”

  1. Samuele dice:

    Fossati non mi piace. Niente.
    Ma, dopo questo post, potrei anche iniziare ad ascoltarlo.
    Bello e romantico.

    :-)

  2. massimo mantellini dice:

    @samuele, tu bestemmi in chiesa!

  3. Roberta dice:

    Tutto vero…… dio che tristezza.

  4. vinz dice:

    Ho sempre stimato Fossati, anche per la sua onesta’ e coerenza.
    Apprezzo molto che si ritiri dalla scena prima di lasciarci un brutto ricordo ( appena appena in tempo eh!).
    Pero’…non ci credo completamente. Voglio dire, credo nella sua buona fede, ma non e’ detto che ce la fara’; troppi ci hanno ripensato in passato. Vedremo.

  5. Giacomo Brunoro dice:

    Bel post malinconico che odora di tempo perduto. Certo fa un po’ tristezza questo fanatismo anti-foto o video, quando ormai gente come Sammy Hagar (ex Van Halen) o Bruce Dickinson (Iron Maiden) durante i concerti invita i fans a caricare i loro video “pirata” su youtube… forse x questo loro riescono a vendere un bel po’ di dischi?

  6. Daniele Minotti dice:

    Fossati? Il classico autore che le piu’ belle canzoni le ha scritte per gli altri, che, peraltro, sanno sempre interpretarle meglio.

  7. Leonardo dice:

    L’affermazione di Daniele Minotti mi pare un po’ eccessiva, sicuramente ingenerosa. Però, si sa, de gustibus.
    Io sono uno di quelli che Fossati l’ha ascoltato quando già suonava nei teatri, probabilmente va bene così, perché pur non conoscendone a fondo la vasta discografia, riesco a dire che è uno dei miei autori preferiti. Darei il classico dito, per aver scritto qualcuna delle sue canzoni, anche se mi tocca pescare fra le più scontate. Non mi sembra neanche che sia poi troppo male come interprete: ormai quando canto qualcosa di suo, mi viene spontaneo imitarne fin le più piccole pause, soprattutto di quei due capolavori che sono Dal Vivo Voll. 1 e 2.
    Forse andrò al concerto a Firenze, forse no. Ma non credo che questo cambierà ciò che penso: non importa se non tutti i dischi, soprattutto gli ultimi, non sono sempre all’altezza, Fossati resta un autore immenso comunque vada.

  8. tom dice:

    che poi ai concerti di Paolo conte c’è un sacco di giovani, mi ero proprio stupito la prima volta che 25enne andai ad un suo concerto

  9. Daniele Minotti dice:

    @Leonardo
    Era volutamente eccessiva, a fini di menaggio ;-)
    Comunque, non sono un suo gran sostenitore, come interprete. Non mi piace il suo modo di cantare, un po’ troppo *lagnoso*.
    Come autore e’ tutt’altra cosa.

  10. Luca dice:

    Bell’articolo, complimenti.
    E’ il mio autore preferito, sebbene lo abbia scoperto tardi. “Macramé” del ’96 è un capolavoro e adoro la sua voce e la sua poesia.
    Gli ultimi 2 album sono molto deludenti.

  11. Simone dice:

    Minchia che mestizia. E’ tipico di certi cantautori aver “allevato” in questi decenni ascoltatori tanto mesti. Un po’ come la stori della sinistra italiana coi suoi elettori.

  12. matteomenin dice:

    La tua avversità nei confronti della nebbia in generale, e in particolare rispetto a quella dei concerti dei Pooh non me la spiego. D’altra parte oggi ne parla anche il FT “Monti’s budget plans shrouded in fog”.

  13. pietro dice:

    La mia impressione è che tutta la carriera di Fossati sia stata, a partire da qui:
    http://www.youtube.com/watch?v=kVGwfwAGC5M
    un progressivo scivolamento verso i clichè, forse in effetti è stato abbastanza sopravvalutato sopratutto come interprete.

  14. pietro dice:

    Un omaggio a Fossati:
    http://www.youtube.com/watch?v=vJor49sfF7I

  15. davide dice:

    Hai fatto un bel post che condivido in toto(comprese le costruttive critiche)peccato che in scaletta non ci fosse ‘le confessioni di alonso’ brano che sembra scritto da un allucinato ma che ben si sposa con questi tempi.Certo i pezzi risentono degli elementi giovani della band perdendo un po’ di fascino …Ahh Beppe Quirici, come si sente la sua mancanza.Ciao e…grazie

  16. Raffaele dice:

    visto ieri sera a Firenze… Concordo con gran parte del blog, ma mi ricorderei anche di pezzi meravigliosi delle ultime produzioni che solo il tempo ancora non ha fatto entrare nella leggenda… Una tra tutte C’è tempo….
    Venendo al concerto è sicuramente al di sotto dei suoi soliti standard, forse anche perché la valenza dei musicisti è un po’ inferiore al solito. Troppi sequencer e troppi suoni finti, ma ad un artista del genere si perdona tutto. Fossati è un artista che è sempre stato all’avanguardia in Italia. Forse l’unico che ha sempre guardato al suono come un elemento fondamentale… E da qui i suoi dischiche suonano come nessun’altra produzione italiana. È il nostro Peter Gabriel… E per questo tour di addio gli si può perdonare tutto, visto il tutto che ci ha regalato nel corso degli anni. Come unica provocazione, fossi stato lui avrei suonato La mia banda suona il rock… E il cerchio si sarebbe definitivamente chiuso…

  17. Temporali d’agosto - manteblog dice:

    […] uscito l’ultimo (in tutti i sensi) disco di Ivano Fossati, in assoluto come molti di voi sanno il mio autore italiano preferito. Questo post è anch’esso un ultimo tributo (il disco tutto […]