05
Nov

La faccenda del parcheggio sotterraneo di Valencia potrebbe essere un esempio perfetto di come funziona il giornalismo in Italia. Di come il giornalismo soprattutto da noi abbia lentamente modificato il proprio ruolo negli anni trasformandosi in qualcosa di totalmente differente.

Per giorni la stampa italiana ha scritto che il parcheggio di un centro commerciale spagnolo era con ogni probabilità un immenso cimitero di persone morte dentro le loro auto. Lo ha fatto in assoluta difformità dagli altri media internazionali, in maniera compatta, unendo illazioni del tutto scollegate fra loro e senza uno straccio di fonte. Il parcheggio era pieno d’acqua, era un parcheggio grande, da ben 5000 posti, mancavano all’appello 2000 persone.
Alla fine il parcheggio è stato svuotato e dentro non c’era nessuno. Gli stessi giornali che prima urlavano al cimitero hanno iniziato ad urlare per il sollievo della scampata ulteriore tragedia.

Il giornalismo italiano da tempo ha smesso di occuparsi di notizie. Il suo modello economico non sono più le informazioni: sono i sentimenti. Quello che vende, o che cerca di vendere, non sono fatti e opinioni sul mondo ma emozioni. Più le emozioni sono basse più sono considerate appetibili.

Il giornalismo italiano pensa che i suoi lettori siano una massa di idioti e non è detto che non abbia ragione. Il suo business utilizza la notizia come una scusa per solleticare i sentimenti più potenti fra quelli disponibili nelle persone più fragili. La notizia è una scusa. Ogni omicidio viene raccontato nei suoi particolari più macabri, ogni violenza carnale viene indagata nei suoi più morbosi particolari, ogni illazione, pettegolezzo, insinuazione che risponda a simili criteri viene utilizzata senza scrupoli, per poi essere tranquillamente contraddetta se per caso – come accade molto spesso – i fatti raccontassero altro.

Il giornalismo manda un inviato fuori dal parcheggio sommerso dall’acqua: il giornalista osserva, raccoglie testimonianze, attende la fine dei lavori e poi scrive” il parcheggio è stato svuotato e per fortuna là sotto non c’era nessuno”.

Il giornalismo italiano manda il suo inviato fuori dal parcheggio sommerso dall’acqua: il giornalista annusa l’aria e inizia subito a scrivere che quel parcheggio è un cimitero. Lo scrive per giorni senza alcuna fonte poi, alla fine, scrive “il parcheggio è stato svuotato e per fortuna là sotto non c’era nessuno”

Sono semplicemente due mestieri diversi. Uno antico e nobile, l’altro forse più moderno ma di sicuro molto meno nobile. Non possiamo più far finta che siano la stessa cosa.




I know, I know
That my world has grown old
And nothing is forever
I know, I know
That my world has grown old
But it really doesn’t matter
If you say we’ll be together
If you promise you’ll be with me in the end

04
Nov

Qualche giorno fa mi è capitato sotto gli occhi un tweet di una “grande firma” di un grande quotidiano italiano (un breve inciso: “grande firma” da tempo ormai non significa più nulla: separa solo, molto tenuemente, pochi vecchi giornalisti che continuano ad accedere a privilegi e visibilità che l’editore paga con il precariato di tutti gli altri immaginando che da tutto questo gliene venga un vantaggio) che stigmatizzava la vacuità del giornalismo italiano. Mentre l’economia del Paese va a rotoli voi – twittava severo la grande firma – continuate ad occuparvi di Maria Rosaria Boccia. Poiché il giornale su cui la grande firma scrive è uno dei più attivi nella discussione sulla fidanzata dell’ex ministro della cultura quel tweet può essere interpretato solo in due maniere. Come una gigantesca amnesia o, molto più probabilmente, come una dichiarazione di distanza che, mentre prende di mira tutto l’ambiente mediatico nazionale, incidentalmente, senza dirlo, schizza di fango morale anche l’editore che gli paga lo stipendio. Oppure forse, non è da escludere, indica al proprio capo la linea che dovrebbe seguire in futuro.

Il narcisismo del giornalismo italiano è sempre stato così. Ma se un tempo una deriva del genere aveva qualche tenue giustificazione, legata al ruolo che alcuni editorialisti avevano nella costruzione del discorso pubblico (una volta il presidente Pertini sciaguratamente mandò un carabiniere in moto da Roma a Milano sotto la pioggia per consegnare un messaggio di biasimo a Giorgio Bocca per una cosa che aveva scritto), oggi la sottolineatura della distanza fra l’io della grande firma e il voi di tutti gli altri attorno assume ogni volta i toni della farsa. Se l’io prevalesse davvero e non fosse una ridicola scena di autoaffermazione, allora la grande firma invece che twittare ammonimenti dovrebbe semplicemente andarsene. Smettere di mescolare il proprio augusto nome, i temi alti della propria analisi sul mondo, dalle sorti di simili venditori di pettegolezzi e scene morbose. Questo passo eticamente indispensabile, per qualche ragione, nessuno lo compie mai.

27
Ott

Domenica pomeriggio, Cervia, Italia. Una giornata uggiosa, calda e grigia di questo autunno non autunno. Siamo alla lavanderia a gettone, in attesa che si liberi una asciugatrice (non ero mai stato in una lavanderia a gettone, mi sono divertito molto). Prima di noi c’è una ragazza magra e alta dai tratti orientali. Ha dei jeans larghi una felpa col cappuccio colorata e un giubbotto di pelle. Avrà 16 anni. “Vengo tutte le domeniche” – dice con un bel sorriso chiacchierando con una signora li accanto – “ma oggi ci sto mettendo molto, ho un sacco di panni”. Chiama dentro un signore, verosimilmente il padre, un uomo piccolo e silenzioso vestito di nero. Mentre lui la aiuta a piegare le lenzuola chiacchierano dolcemente in cinese (credo): sono rilassati, lei ride, anche lui ride. Sono belli così. Mi piacerebbe sapere cosa si stanno dicendo. Nell’attesa, fra un carico e l’altro, la ragazza manda dei vocali alle compagne di classe: discutono dei compiti per domani. Domani – dicono – c’è grammatica. Manda messaggi parlando a bassa voce, per non disturbare, in un italiano perfetto e con una S romagnola molto spiccata. Poi torna a controllare quanti minuti mancano alla fine del ciclo. Quando vedo queste scene penso ogni volta sempre la stessa cosa: che per negare l’evidenza e dire che questa ragazza non è italiana bisogna essere davvero dei miserabili.

27
Ott




Il dirigente Rai che per offendere Formigli gli dà dell’infame. I vandalizzatori del taxi di Roberto Red Sox a Bologna che gli scrivono sul cofano “infame”. Infame, anche dopo il suo utilizzo da parte di Giorgia Meloni in chat, sta rapidamente diventando la parola cardine dei nostri tempi. Una parola da curva sud, un termine un tempo taciuto con malcelato imbarazzo ed ora ritornato libero e moderno. Un emblema, un distintivo di cui vantarsi. Un colore che sta bene su tutto, sempre in bilico fra criminalità organizzata e neofascismo.

Leggo che la presidentessa del Consiglio rifugge ormai stabilmente le conferenze stampa con i giornalisti alle quali si è sottoposta l’ultima volta il 3 novembre 2023. Da allora o non si presenta o manda qualcun altro o in sostituzione invia patinati videini nei quali celebra i successi del suo governo in grande tranquillità spesso riuscendo a coniugare con proprietà anche i congiuntivi. Se in Italia il giornalismo non fosse in buona misura una farsa si tratterebbe di una grave lesione del diritto dei cittadini ad essere informativi. Invece le conferenze stampa dei presidenti del Consiglio da noi si risolvono in genere in domande scendiletto da parte dei giornalisti amici da un lato e domande inutilmente arrembanti dei giornalisti nemici dall’altra. Uno spettacolo deprimente tutto sommato perdibile.




Verso la fine degli anni novanta un usuale ministro delle Comunicazioni, un normalissimo signore senza competenze specifiche che si chiamava Salvatore Cardinale (un avvocato democristiano, un classico della politica nostrana di quegli anni) spiegò agli italiani che con l’arrivo della tecnologia UMTS l’Italia, un Paese nel quale la telefonia cellulare andava fortissimo, avrebbe rapidissimamente annullato il proprio storico gap di connettività a Internet. Senza entrare in complesse questioni tecniche delle quali noi non avevamo grandi competenze e il ministro meno di noi la domanda a quei tempi fu: ma se l’idea è questa, se è tutto così semplice, come mai gli altri Paesi non lo fanno? Sono più stupidi di noi? È il genio italico che si mostra al mondo nei momenti di grande difficoltà?
Ci seguiranno poi, tutti gli altri, a capo chino per la vergogna di non averci pensato loro, in fila come le oche di Lorenz?

Questa idea di essere più furbi degli altri non ci ha mai abbandonato, nella tecnologia come in altri ambiti, e ogni volta la domanda di vent’anni fa torna fuori sempre uguale. Ma se è un’idea tanto intelligente perché gli altri non ci hanno pensato?

Notizie di stampa di questi giorni spiegano che l’Italia intendeva coprire il proprio storico gap di connettività (il medesimo di vent’anni fa) utilizzando l’infrastruttura satellitare di Elon Musk, unendo in un affare miliardario le esigenze del PNRR, le amicizie indebite della Presidente del Consiglio e la solita propaganda politica da quattro soldi. Neanche oggi sono troppo interessanti le solide ragioni per cui un’idea del genere è tecnologicamente una cattiva idea, le medesime ragioni per cui nessuno oltre a noi pensa una scemenza del genere, mentre continua ad essere interessante osservare che evidentemente ci sentiamo i migliori, che lo andiamo affermando senza vergogna, che la verità delle cose è un accessorio ingombrate e sopravvalutato del quale si potrà tranquillamente fare a meno.

16
Ott

Come la famosa minuscola palla di neve che rotolando rotolando in tempi molto scoscesi si fa rapidamente valanga, nel giro di pochi mesi il TG di Sky da miglior presidio informativo italiano si è trasformato nell’ennesimo megafono di Giorgia Meloni e dei suoi valenti ministri. Un TG di regime come altri, senza che il regime glielo abbia nemmeno chiesto. Che dispiacere.

16
Ott




Lo squallore di questa gente non è così tanto diverso da quello dei loro predecessori. Quelli però almeno un po’ si vergognavano e cercavano per quanto possibile di tenerlo nascosto. Questi urlano soddisfatti le loro miserie dalla finestra.