Andrea Celli di John Ashfield risponde a Sybelle sul caso del post censurato da WordPress.com. Una volta archiviato un certo involontario autolesionismo aziendale (una lettera del genere mostra molto più di quanto dovrebbe sull’azienda romagnola) ed anche una prevista difficoltà a comprendere ed accettare le dinamiche di rete (che come Celli ha sperimentato sulla sua pelle sono dinamiche potenzialmente molto pericolose se non si è in grado di gestirle), la questione posta non è peregrina e riguarda la responsabilità di chi gestisce un blog nei confronti dei commenti postati dai lettori. Visto che una minima esperienza al riguardo ce l’ho vorrei dire alcune cose utili magari anche per altri in futuro.
1) La responsabilità dei commenti è dei commentatori su questo non si discute, eppure come sappiamo spesso per i giudici non è così pacifico. Occorre tenerne conto prima.
2) Gestire i commenti del proprio blog con un utile eccesso di oculatezza è una abitudine che consiglio a tutti. Le persone si querelano e litigano per le stupidaggini piu’ indecorose.
3) I commenti anonimi sono paradossalmente piu’ pericolosi degli altri e vanno seguiti con un occhio di riguardo. Oltre ad un anonimato “naturale” esiste un anonimato di comodo che spesso tende a mimetizzare non solo il cretino ma anche il furbo che usa lo spazio per ragioni sue.
Nel caso di Sybelle oltre agli errori (capibili) di WordPress.com, oltre alle incerte prese di posizione di John Ashfield, altrettanto capibili, c’è questa scelta discretamente pericolosa di mettere in rete corrispondenza che forse sarebbe utile mantenere privata. Perche’ a questo punto Andrea Celli che definisce “lesive e diffamanti” le affermazioni contenute in un unico commento del famoso post, dovrebbe anche spiegare in cosa lo siano. Perche’ una cosa è affermare che le camicie del marchio costino 25 euro (non e’ vero, lo so perfino io che ne posseggo alcune, le camice di JA costano molto di piu’), un’altra è per esempio la contestazione sulla sede di produzione dei manufatti, nel commento si afferma che la produzione avviene in oriente mentre sul sito di JA si parla di “stoffe sono ancora prodotte artigianalmente in Irlanda e Scozia da chi non ha mai abbandonato l’ uso dei vecchi telai”. Accettare le dinamiche di rete significa per esempio chiarire pubblicamente aspetti del genere. Una trasparenza che normalmente le aziende non hanno (per ovvie ragioni) ma che fa (farebbe) la differenza.
Febbraio 19th, 2010 at 19:20
Bene o male, l’importante è che se ne parli. L’undercover marketing funziona anche così. Naturalmente non è questo il caso, ma studierei il caso se mi occupassi di queste cose
Febbraio 19th, 2010 at 19:33
Le ali, tu consiglieresti ad una azienda un comportamento simile a quello tenuto da JA per fare in modo che si parli di lei? io no. Io consiglierei ad una azienda eventualmente di fare il contrario, cioè invece che far chiudere il blog, far partire la conversazione in cui è lei che parla, invece di ridursi a inseguire per rispondere. Se sei dalla parte della ragione, non cerchi di nascondere le critiche, le smonti con la bontà del tuo prodotto. Ah già, il prodotto però deve esserlo, buono!
Febbraio 19th, 2010 at 20:40
Evidentemente certe aziende non sono in grado di portare la conversazione online. E il massimo che si può fare è smettere di comprarli… Da quell’orecchio ci sentono tutti.
Febbraio 19th, 2010 at 21:38
Massimo, scusami… Ma non hai imparato proprio niente, eh ;-)
Guarda, la questione e’ assai piu’ complessa rispetto ai tuoi pur apprezzabili (per numero) punti.
Non me ne volere, eh… Sai che ne parliamo sempre volentieri e fattivamente.
Buona serata.
Febbraio 19th, 2010 at 21:47
@roberto felter
io prospetterei all’azienda i vantaggi e gli svantaggi, poi sarebbero loro a decidere. Vantaggi: molti che non conoscono il marchio ora lo conoscono. Personalmente non lo conoscevo, ora sì, e se lo trovo in un negozio mi verrebbe da pensare “toh, guarda John Ashfield!, Però…(se il prodotto è buono o discreto) non male. Quello della storia in internet.”
Svantaggi il rischio che tutto veda male e metta “cattiva luce sull’azienda”. Al giorno d’oggi quale sarebbe la cattiva luce? Il fatto che hanno scritto a wordpress perché ritenevano diffamante un commento? C’è di peggio…su.
L’azienda sceglie. Cmq sempre meglio di qualche milione di euro per un solo passaggio in prime time sulle aziende del Presidente del Consiglio. Poi c’è il libero arbitrio, se si hanno le finanze.
Febbraio 19th, 2010 at 22:47
Credo che la visione di “le ali” sia molto corretta, aggiungerei solo due considerazioni.
Innanzitutto il comportamento del commentatore non è etico: un dipendente non può andare in giro a raccontare cose riservate che ha saputo nel corso del suo lavoro.
Qui chi ci fa una pessima figura è WordPress per non avere avvertito l’autore del blog chiedendo spiegazioni prima di censurare il blog.
In ogni caso qualche giorno fa mi chiedevo se davvero cose del genere possano provocare reali danni alle aziende coinvolte. Alla fine del gioco io credo che la chiacchierata di una manciata di blogger che si leggono di fatto solo tra di loro non abbia un reale effetto, non credo che la società abbia venduto per questo molte meno camice!
http://robertodadda.blogspot.com/2010/02/lelefante-e-il-topolino.html
bob
Febbraio 20th, 2010 at 00:18
Uhmm, Mantellini, non so se sono così d’accordo sulle “dinamiche di rete”. Se io dirigo un giornale e un redattore arriva e mi dice che vuole scrivere che JA fabbrica in Cina invece di usare stoffe prodotte artigianalmente in Irlanda e Scozia con vecchi telai, mica se la cava così facile. Non dico che deve darmi l’indirizzo cinese, ma insomma. E sinceramente non so se ognuno deve rispondere alle provocazioni di chiunque. A meno che non siano provocazioni documentate. Scusate, ma io vengo da un mondo dove è chi sbugiarda che deve far sventolare le carte, e solo dopo lo deve fare lo sbugiardato, non il contrario. Sennò va a finire che nessuno le sventola (perché dovrebbe?) e ognuno dice un po’ quel cazzo che gli pare.
E poi suvvia, la crisi quello ha fatto tagliare: la comunicazione. Tanto, a che serve? E qui se permettete un ghigno me lo faccio, eh.
Febbraio 20th, 2010 at 00:18
Che la foto della pubblicità è brutta si può dire ?
Febbraio 20th, 2010 at 00:51
La cosa che più diverte, in tutto ciò, è che si dia per certo ed assodato che il famoso commento “infame e diffamante” sia stato sicuramente scritto da un ex-dipendente e che sia quindi plausibile nei contenuti. Lo stesso JA pare assolutamente convinto.
Cosa poi gliene potesse fregare a JA della personale opinione di Sybelle e dei suoi commentatori poi…
Perché abbiano perso del tempo a scrivere a WP per ottenere la rimozione dei commenti rimane tutt’ora un vero mistero.
Febbraio 20th, 2010 at 09:19
Se poi – con comodo – il signor Andrea Celli ci volesse parlare della vicenda legale relativa al marchio Schostal (e del relativo sito web) che la John Ashfield avrebbe registrato qui, mentre esiste dal 1870 la Schostal Roma, potrebbe aiutarci ad avere un’idea più precisa sulle sue attività.
Febbraio 20th, 2010 at 09:20
Non ho chiuso il link, scusate: Schostal Roma
Febbraio 20th, 2010 at 10:28
@camillo Non sono un esperto, ma a me sembra che i marchi siano sostanzialmente diversi, ma in ogni caso non trovo tra le due cose la minima attinenza. E’ anche questo atteggiamento da branco che rende le critiche dei blogger meno credibili.
Mi sembra stiamo troppo spesso dimenticando che la vera figura da caciottaro qui la fa WordPress!
bob
Febbraio 20th, 2010 at 10:35
Farebbe la differenza? e per chi? Per l’azienda che da anni continua a fatturare milioni di euro senza conoscere minimamente nessun servizio di social network, advertising online ecc?
Per il consumatore che compra JA non per le stoffe ma per la marca?
Credo che il titolare di JA si stia comportando esattamente come si deve comportare un dirigente d’azienda.
I blogger sono tanto accaniti verso di lui perché WordPress ha chiuso il blog di Sybelle. Ma qui lo sbaglio è stato di WordPress e non di Celli che ha agito negli interessi della sua azienda.
Febbraio 20th, 2010 at 11:23
esiste una cosa che si chiama “brand reputation” e il sig. Celli, col suo comportamento, l’ha un po’ mandata a p…….e
circa l’articolo poi, ma non sarebbe meglio “comprensibile” a “capibile” caro Mantellini?
a me “capibile” fa sgrisolare i denti
Febbraio 20th, 2010 at 12:28
@pio, potremmo aprire un sondaggio, a me “capibile” piace ;) p0i spesso non e’ sinonimo di “comprensibile”
Febbraio 20th, 2010 at 13:06
Capibile è un neologismo che lo Zingarelli nemmeno riporta, i vocabolari che la riportano la definiscono sinonimo di comprensibile e intellegibile. In realtà dunque non c’è alcuna differenza nel significato, è solo, a mio modo di vedere, un po’ meno elegante.
bob
Febbraio 22nd, 2010 at 08:30
mantellini, su “capibile” apriamo pure il sondaggio, ma per stablire che “camicie” si scrive con la “i” non c’è bisogno di nessun sondaggio, gliel’assicuro, basta aprire un sussidiario delle elementari. il “camice” è quello che indossa il dottore.
Febbraio 22nd, 2010 at 08:31
anche “stabilire” si scrive con la “i”…
Febbraio 22nd, 2010 at 08:55
Caro Carlo M, grazie. Ti eleggo mio correttore ortografico di fiducia.
Febbraio 22nd, 2010 at 09:25
Trovo sociologicamente interessante il fatto che ci sia qualcuno che sistematicamente senza minimamente entrare nell’argomento della discussione sfoga in rete le sue frustrazioni da maestrina dalla penna rossa!
bob
Febbraio 22nd, 2010 at 10:09
bob, purtroppo qualche maestrina pensa ancora che la forma sia importante come la sostanza.
Febbraio 22nd, 2010 at 13:04
La forma è una cosa, gli errori di battitura sono un’altra cosa. La forma non è importante come la sostanza, la forma è certamente, con ci insegna McLuhan, su un altro piano e può influenzare la sostanza.
bob
Febbraio 22nd, 2010 at 16:02
bob, io l’avrei piantata lì, ma visto che insisti…
“camice” per “camicie” non è un errore di battitura, è un errore da matita blu. zacchete! un voto meno nel compito in classe.
è come scrivere “eccezzionale” con due zeta o “quore” con la q, tanto per intenderci.