La saggezza e la profondità di Sergio Maistrello, di ritorno sconfortato dal Festival del Giornalismo, è come al solito notevole:


Non è più necessariamente meglio che lavorare. Non mi spiegavo gli scarsi risultati ottenuti fin qui dal giornalismo italiano su internet, nonostante la presenza di alcune professionalità eccellenti. Dopo aver seguito le prime sessioni dedicate ai new media concludo che in realtà il giornalista medio semplicemente non ha voglia. Aveva il suo lavoro, gli bastava quello. A qualcuno tocca fare il giornale online, ma il più delle volte non ha la motivazione, il talento, l’elasticità mentale. Qualuno coglie l’occasione per rimettersi a studiare, ma spesso studia le cose sbagliate oppure capisce proprio male. Chi ha le idee, il talento, la voglia, l’elasticità non è quasi mai nel posto giusto al momento giusto, oppure resta proprio fuori dal sistema. Oggi l’innovazione deve arrivare da fuori, all’esterno dei grandi gruppi editoriali, dove però non ci sono i soldi per costruire modelli che superino la buona volontà delle intenzioni e l’amatorialità dei mezzi.


18 commenti a “Tocca fare il giornale online”

  1. Ivan Molella dice:

    Parole sante.
    In realtà credo sia proprio questo il nocciolo della questione sullo scarso interesse da parte di attività,imprese,giornali ecc..
    cresciuti e pasciuti nel sistema economico,publicitario e mediatico convenzionale dei decenni passati.
    La mancanza di volontà da parte di chi ha dei modelli consolidati da decenni, di andare avanti a sperimentare nuovi percorsi, ritenuti anche quando li si comprendono, soltanto un di più non necessario, una perdita di tempo e risorse a fronte di uno scarso ritorno nell’immediato se comparato al valore maturato da un attività ad oggi.
    Possiamo vedere questo ad esempio nel mercato della discografia, ancora arroccato alla logica del CD, e nonostante la crisi inesorabile a cui questo modello sta andando in contro non e’ ancora riuscita a trovare una valida soluzione in internet,anzi molte volte ponendo ostacoli anziche
    agevolare in maniera intelligente una serena transizione dal vecchio sistema al nuovo.
    Il discorso non e’ semplice, occorre ripensare interamente dei modelli che per piu’ di 50 anni sono andati bene ma che in internet non sono piu’ applicabili, e’ questo l’ostacolo piu grande. Occorrono menti fresche e piu’ illuminate delle attuali che traccino un nuovo sentiero percorribile da seguire.

  2. Roberto Marsicano dice:

    La questione non è la cattiva volontà di cambiare, ma l’impossibilità di cambiare quando non c’è una transizione lenta (carrozze-> omnibus->tram con i cavalli-> tram elettrici-> metrò) che permette di far evolvere la gente che fa marciare un sistema senza grossi scossoni.
    La connettività alway-on, pervasiva e invasiva, ha solo pochi anni, e non ha ancora distrutto tutto quello che può distruggere del vecchio mondo, ma sicuramente devasta le menti di chi magari aveva appena avuto un posto di giornalista, dopo anni di precariato a 17 euro a pezzo, e oggi si vede messo alla pari del blogger naif, e con la concreta prospettiva di passare da giornalista a disoccupato cronico.
    E allora: perchè i vecchi giornalisti dovrebbero auto-eliminarsi?
    Semplicemente non possono accettare una rivoluzione tecnologica, così come Luigi XVI non poteva accettare la presa della Bastiglia perchè avrebbe significato quello che è successo: opporsi, o anche agevolare, il nuovo che avanza comporta sempre che la gente dell’antico regime perda la testa, cioè il posto così duramente conquistato.

  3. emanuele chesi dice:

    E’ singolare che chi critica il profluvio di luoghi comuni sulla rete poi si scateni in altrettanti luoghi comuni sui giornalisti (che, per l’amor del cielo, già si disprezzano abbastanza da soli…) e comunque continui a mettere nel pentolone giornalisti ed editori. In Italia chi non crede nel giornalismo in rete sono gli editori, stop. E forse hanno pure qualche ragione: a quanto pare non c’è, per ora, il ritorno economico. A quanto dicono i bilanci, sono ancora i giornali di carta che pagano quelli su internet. Domani sarà diverso? Può darsi, anzi sarà sicuramente così. Ma intanto, con questi chiari di luna, mi pare che nessuno se la senta di investire in questa direzione. Così nella redazioni internet vengono messi stagisti e i giornalisti di lungo corso (che magari vorrebbero anche trasferirsi su internet) restano alla carta.

  4. adriano dice:

    A me pare che in gran parte la viscosità del “passaggio” italiano sia dovuta a due fortissimi avversari:
    1 – l’esistenza (la persistenza) dell’Ordine dei Giornalisti. Creare uno startup sperimentale per chi viene da altre esperienze o da nessuna esperienza nel campo è impossibile: posso inventare una mini impresa di qualunque genere ma NON un giornale, un servizio di notizie di una certa massa critica.
    2 – gli editori (nel caso di questo tipo mutante di imprenditoria, anche i potenziali stakeholders): chi già è editore è terrorizzato da questa “disruptive technology” verso il giornalismo non su carta, non la capisce e vorrebbe tanto, come l’amico Davide Rossi, che la rete non fosse mai esistita.

  5. marco dice:

    Non per difendere gli editori, ma non mi sembra di aver visto in questi anni centinaia di giornalisti appassionarsi di mezzi che dovrebbero essere il loro parco giochi (cavoli, la Rete _è_ il giornalismo) e vedersi sempre tarpati le ali da altri che non permettevano di sviluppare idee e iniziative.
    I giornalisti che hanno avuto la voglia e l’intelligenza di fare qualcosa su Internet si contano sulle dita di due o tre mani; tutti gli altri aspettano la formazione, aspettano le regole, aspettano i soldi. Aspettano.

  6. Bloglavoro dice:

    Quoto Marsicano sull’evoluzione lenta ma non vedo uno scenario così drammatico in Italia, anche perché a livello internazionale le testate maggiori in realtà sono ancora ferme a pubblicare online gli stessi articoli che pubblicano in cartaceo, il giornalismo online vero è relegato a qualche sezione presente “in più” sul sito e lì, concordo, è materia di pochissimi l’aver compreso la differenza tra scrivere per il web e scrivere per la carta stampata.

  7. Massimo Moruzzi dice:

    parole sante, grazie Sergio (e Massimo per averle riportate).

  8. Damiano dice:

    La polverosità dell’attuale classe giornalistica si ripercuote inevitabilmente sullo sbarramento all’ingresso della professione dei giovani e alle novità. Internet, ora, è solo un’ulteriore vetrina per i grandi gruppi e niente più. L’esistenza di un’economia stabile per un quotidiano online in Italia è attualmente un’utopia. Che la strada sia quella dettata da Murdoch, ovvero far pagare anche i quotidiani on line?????

  9. Roberto Marsicano dice:

    http://www.slideshare.net/Event4ITGroup/transpromo-remo-lucchi-gfk-eurisko-presentation

    Da questo studio di GFK Eurisko si vede che il problema per la stampa è continuare ad essere considerato da chi alloca i budget pubblicitri com un mezzo giusto per il messaggo verso li segmenti che hanno propensione e capacità di spesa, cioè quei segmenti che si spostano sulle TV tematiche e su Internet.

    La stampa (come industry) non esiste per fornire notizie ma per veicolare la pubblicità e quindi la redditività che paga stipendi e dividendi.

  10. adriano dice:

    Bloglavoro: non sono del tutto d’accordo. Per esempio la dimensione, proprio come numero di parole, degli articolì di lingua inglese di moltissimi giornali on line è ben più ampia di quelli in italiano, e vengono letti lo stesso. COnta molstissimo il modo di presentarli (sì, l’interfaccia), e proprio su quella tutta l’editoria italiana su web fa davvero schifo rispetto a quella estera. e abbiamo appena scalfito il problema.
    Però chiediamocelo (e dovrebbero chiederselo i professionisti): perché navigare il sito del NYT (i siti, ora che ne ha 2), o del Paìs non affatica e navigare il sito del Corriere sì?

  11. Sascha dice:

    Queste cose mi fanno impazzire…
    Non essendo direttamente minacciato da questa ‘rivoluzione’ mi fanno ridere parecchio: ‘non ha ancora distrutto tutto quello che può distruggere del vecchio mondo ma sicuramente devasta le menti’ e l’invito ai ‘vecchi’ giornalisti ad auto eliminarsi o perdere la testa.
    Questa rivoluzione che si può fare da casa, senza correre alcun rischio e senza toccare alcun rapporto di forza esistente eccetto che nei media (cioè, il fatto che stai facendo la rivoluzione non vuol dire che non ti puoi fare il tuo weekend low cost a Sharm el Sheik) è veramente favolosa: luogo comune per luogo comune non vedo l’ora che dopo ‘il nuovo che avanza’ arrivi ‘la rivoluzione divora i suoi figli’.
    In breve, l’effetto della rivoluzione sarà, come spesso capita, diverso dalle speranze: eliminata l’intermediazione della casta giornalistica governi, partiti, chiese, aziende e simili potranno informare direttamente le masse senza che qualcuno possa dare (raro, ma ogni tanto capitava) notizie ‘sbagliate’: avremmo solo notizie ufficiali ed un mare di tizi in pigiama, una mano sulla tastiera e l’altra da un’altra parte che commentano a notte fonda…

  12. Roberto Marsicano dice:

    @sascha

    a proposito di:
    la rivoluzione mangia i suoi figli

    e
    non essendo direttamente minacciato.

    http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/scienza/grubrica.asp?ID_blog=38&ID_articolo=1223&ID_sezione=243&sezione=

  13. Grazia Manera dice:

    Sergio ha colto nel segno: “Chi ha le idee, il talento, la voglia, l’elasticità non è quasi mai nel posto giusto al momento giusto, oppure resta proprio fuori dal sistema.”

    Credo che anche in Italia ci siano le persone con le idee, il talento e tutto il resto, semplicemente non vengono valorizzate.
    I motivi sono semplici da indovinare, lascerei a chi legge…

    ciao
    (arrivata da Twitter – post Montemagno)

  14. Sascha dice:

    @ Marsicano

    Continuo a non sentirmi direttamente minacciato.
    Ma sbaglio o anche lei vede il mondo dal punto di vista padronale, sognando un futuro in cui tutti quegli infidi e neghittosi dipendenti saranno sostituiti da robot e programmi perfettamente affidabili che non chiederanno ferie ne’ faranno sciopero, così da permettere a lei ed al resto dell’umanità liberata una vita di libero cazzeggio e continuo autocompicimento?
    Ho una mezza idea che lei e quelli della sua specie avranno qualche sorpresa, nei prossimi anni…

  15. Roberto Marsicano dice:

    @Sascha
    Non sono nè un padrone e neppure sogno un “futuro in cui….”

    Faccio delle semplici constatazioni su quello che già c’è e quello che sta per avvenire.

    Non so se ha sentito parlare di SOA, la tecnologia che permette di connettere, facilmente, fra di loro sistemi IT eterogenei di aziende diverse, una tecnologia che ha lo scopo di automatizzare i processi inter-aziendali con la evidente conseguenza che molti dei lavori dei colletti bianchi spariranno.

    Bisogna prendere coscienza del futuro possibile e/o probabile e agire oggi per gestire problemi di domani, come la disoccupazione anche di migliaia di impiegati.

  16. Sascha dice:

    Se uno crede nella inevitabile ‘distruzione di tutto quello che si può distruggere’ non si preoccupa particolarmente della disoccupazione di migliaia di impiegati, tutto preso com’è dal sogno del Web 2.0 di un mondo di padroncini piazzati 24/7 davanti a uno schermo – almeno finchè quelle migliaia di impiegati si mettano a marciare per le strade con camicie colorate e cantando tutti insieme…

  17. Sascha dice:

    A proposito, giusto qualche giorno fa Nicholas Carr, uno dei migliori critici della tecnologia in attività (di recente, ‘Il lato oscuro della Rete’) aveva postato nel suo blog un intervento su terremoti e twitter:

    http://www.roughtype.com/archives/2009/03/how_many_tweets.php

  18. gallodidio dice:

    (from sergiomaistrello via manteblog, in Italian)

    […] Avevo avuto la stessa impressione qualche tempo fa, sia pur con qualche eccezione significativa. […]