Oggi mentre camminavo ho ascoltato per caso “Com’è profondo del mare” di Lucio Dalla. Non mi farò fregare dalle spire della nostalgia che solo quelli della mia età possono comprendere. Del resto è un fatto che quel disco, che è stato inciso nel 1977 da musicisti di media qualità, sia un capolavoro assoluto della musica italiana e continui a suonare perfetto perfino oggi.

Tuttavia non è questo di cui mi interessava dire. Il fatto è che quel disco è uno dei maggiori segni fra quelli che io conosca di come il talento quando arriva travolge tutto.

Provate ad immaginarvi la scena. Dalla ha appena interrotto il suo sodalizio con il poeta bolognese Roberto Roversi, autore dei testi dei suoi dischi precedenti. Lucio è – fondamentalmente – un musicista istintivo, come lui stesso si definiva, un grande pianista in do maggiore (ma anche un sassofonista e un clarinettista) ma non ha mai scritto il testo di una canzone. Pubblica un nuovo disco nel quale scrive per la prima volta i testi da solo e questo disco comincia così:


Siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte
per paura degli automobilisti, dei linotipisti
siamo gatti neri, siamo pessimisti, siamo i cattivi pensieri,
e non abbiamo da mangiare,
come è profondo il mare,
come è profondo il mare.



Non si tratta di un fuoco di paglia, tutto il disco continuerà così, con parole fulminanti e allegoriche, di una profondità e di una carica innovativa mai sentite fino ad allora. Testi semplicemente al di fuori dalla portata di chiunque altro. Dalla a quei tempi non è più un bambino, ha 34 anni. 34 anni per un’esplosione di talento letterario di una simile portata sono molti, solo Boris Vian ha scritto “Il disertore” quando aveva quell’età. In genere il talento musicale è precocissimo e spesso scompare in fretta. Ivano Fossati, per esempio, ha scritto “La costruzione di un amore” quando aveva 25 anni; De Gregori ha composto Alice quando di anni ne aveva 22 anni. Due canzone della piena maturità artistica dei loro autori.

Possiamo perdonare qualsiasi cosa al Lucio Dalla di “Come è profondo il mare” ma soprattutto possiamo utilizzare i testi di quel disco come una mefafora della violenza del talento. Che entra all’improvviso, non chiede permesso, non prevede competenze e semplicemente rovescia tutto. Capita raramente ma quando succede il mondo, tutto insieme, spicca un saltello verso l’alto.

3 commenti a “Quella alta grande fica”

  1. alessandro dice:

    oggi gli darebbero dell’omofobo per quella frase

    mala tempora

  2. vinz dice:

    beh Alessandro, mi sembra un verso molto più sottile e evocativo di una dichiarazione di appartenenza a una minoranza sessuale.

  3. alessandro dice:

    ah per me e’ poesia
    parlo a nome altrui