La discussione sull’identità di Elena Ferrante è interessante, per me che non ho mai letto un suo libro, per due ragioni. Perché obbliga ad un punto di vista sui rapporti fra notorietà e privacy e perché suggerisce qualche valutazione sul ruolo del giornalismo nel periodo della sua bulimia digitale.

I due aspetti sono da qualche tempo intimamente collegati, per lo meno da quando il giornalismo ha allargato il proprio ambito di interesse da una serie di temi variabili ma ben definiti (oggi le notizie che una volta si trovavano solo su Novella 2000 sono costantemente presenti anche sui siti web dei maggiori quotidiani) ad un approccio generalista molto focalizzato sui presunti interessi dei lettori (in realtà si tratta solo dell’interesse spicciolo per i loro click)

Così forse l’inchiesta di Claudio Gatti, che è andato a frugare nelle visure catastali di una semplice cittadina che potrebbe forse essere l’autrice dei libri firmati Elena Ferrante, è giornalismo, ma è giornalismo del peggiore tipo, quello non solo indiziario e senza risposte certe (quello che per capirci una volta i giornali seri non pubblicavano per mancanza di certezze documentali) ma anche quel tipo di giornalismo, molto contemporaneo, che sceglie di occuparsi di una notizia che ha maggiori relazioni col pettegolezzo piuttosto che con la cronaca.

Quelli che trovano usuale una simile “inchiesta” sono, almeno in una certa parte, lettori ormai abituati a questa forma di giornalismo un tempo minore che ha di sua costituzione ridotte aspirazioni etiche e maggiori richiami al quotidiano.

Esiste una rilevanza giornalistica nell’identificare chi sia Elena Ferrante o Banksy o Thomas Pynchon? Esiste, ed ha in gran parte a che fare, oggi più che un tempo, col nuovo ruolo morboso del giornalismo, che non è un fenomeno italiano (non a caso il pezzo di Gatti è uscito anche in USA dove esistono numerosi recentissimi casi che orientano nella medesima direzione, basta pensare al caso Gawker) e che semplicemente prevede la graduale e vastissima abdicazione del giornalismo rispetto ai temi che gli sono propri. IlSole24ore che scrive di un pettegolezzo? Oggi non è strano.

Ma esiste una seconda ragione per la quale – dal mio punto di vista – quello sull’identità di Elena Ferrante é giornalismo depotenziato, ed é quella che attiene ai temi generali che coinvolge. Vale a dire la tutela non solo della riservatezza delle singole persone ma anche quello dei rapporti fra privacy e creatività. Per quale ragioni violare il codice che l’autore ha proposto ai suoi lettori? Perché Ferrante è diventato un autore famoso? Perché i lettori devono sapere? Nulla di tutto questo, non esiste alcuna ragione di cronaca per cui un giornalista debba voler interrompere una simile relazione che è stata autonomamente concordata (cfr. Ferrante ha venduto nonostante nessuno sappia chi è). Nel caso specifico il giornalismo che indaga per interrompere una simile relazione diventa, suo malgrado anche se non lo ha pensato, figlio di un potere dal quale dovrebbe, per definizione, tenersi a distanza. Quello che quotidianamente in milioni di maniere differenti spia dal buco della serratura per normalizzare i nostri rapporti sociali in nome di interessi non immediatamente riconoscibili ma quasi sempre di chiaro contenuto reazionario.

Quello di Gatti diventa così, magari inconsapevolmente, giornalismo del più forte, o se volete giornalismo cinicamente astratto dal contesto culturale di riferimento (quello dei diritti, delle libertà e dei principi). È invece giornalismo riferito al proprio contesto economico prima che a qualsiasi altra cosa. Mentre tutto questo accade questo nuovo giornalismo non solo diventa funzionale alla società del controllo ma interrompe in maniera definitiva la propria relazione diretta con i lettori o per lo meno con i migliori di loro.

7 commenti a “Elena Ferrante: non fate troppi pettegolezzi”

  1. deid00 dice:

    Dovro` leggere questa/o Ferrante.

    (sapesse chi fosse, non sia)

  2. Pier Luigi Tolardo dice:

    Onestamente, neanche io ho mai letto niene della Ferrante, dev dire che il fatto dell’anonimato, gelosamente tutelato, non mi ha mai fatto una bella impressione, non dico che non ho mai letto niente per questo ma io sono molto intrigato dalla via di Manzoni, di Fogazzaro, di Primo Levi, per dire autori che ho amato, anche per la loro vita, così come mi ha intrigato sempre l’aspetto biografico della letteratura. Per me è difficile separate Autore ed Opera anche se sono cose diverse.
    Non credo che Gatti abbia commesso un delitto e del resto non ha intercettato nessuno, non ha spiato nessuno, ha fatto un’ipotesi, basata su dati pubblici, forse l’ha azzeccata, questo spiega le reazioni veementi. Può portare ad un blocco dell’autrice? Non so, non credo, lo penso impossibile, però…certo che non rischia la vita o la libertà, e comunque non le devono rompere le scatole adesso solo perchè si sa chi è…e comunque non è costretta adesso a firmare tutti gli appelli che le proporranno o i talk show, dovrà solo rispondere qualche volta di più al telefono, ecco mi sembra che abbiano esagerato a considerare drammatico il tutto…

  3. Elena Ferrante: so what? | Notiziole di .mau. dice:

    […] stavolta non sono d’accordo con Massimo Mantellini e la sua analisi della “caccia a Elena […]

  4. Snob dice:

    “La discussione sull’identità di Elena Ferrante è interessante, per me che non ho mai letto un suo libro, per due ragioni. Perché obbliga ad un punto di vista sui rapporti fra notorietà e privacy e perché suggerisce qualche valutazione sul ruolo del giornalismo nel periodo della sua bulimia digitale”

    Ma le due ragioni non hanno alcun legame al fatto che si sia letto o meno la Ferrante.
    Mi sa che volevi fare solo lo snob.

  5. DinoSani dice:

    Divertente il fatto che Gatti replichi alle accuse di giornalismo gossip ricordando che nessuno di quelli che lo accusa ha mai detto nulla e forse letto le sue numerose inchieste “impegnate” del passato… Come dire: ora che scrivo queste cazzate vi accorgete di me?
    Quindi, poiché i vari intellettuali moralisti che ora mi accusano non mi hanno filato quando facevo cose serie, ora mi godo i 15 minuti di notorietà grazie a loro che discutono della mia inchiesta inutile.
    Cortocircuito totale, infernale. Io giornalista serio svelo la pochezza di chi mi legge, finalmente, abbassando il livello verso il pettegolezzo.
    Che poi non ci si senta di sprecare il famoso “segui i soldi” delle indagini (giornalistiche e della magistratura) non per malavitosi e ricchi mafiosi ma per onesti intellettuali che non rubano, non nascondono i loro soldi, resta veramente la cifra culturale,dei nostri tempi.
    un’inchiesta (peraltro tutta da dimostrare) in cui non si svela alcun reato, neppure morale, a che cosa serve? A chi serve?
    Una volta gli intellettuali erano definiti i “cani da guardia” dei potenti…oggi forse sono solo dei cani….

  6. Marco dice:

    La Ferrante o chi per lei non si può leggere. Sono romanzi tipo Harmony ma per lettrici chic e snob. Ovviamente è un’ottima operazione commerciale, direi il caso editoriale del decennio, data la risonanza internazionale (tutte le donne che contano in USA divorano i suoi libri), ma per me non è letteratura. Se penso alle vere scrittrici italiani come Deledda, Morante, Ginzburg, Maraini, ecc., la Ferrante è solo una scribacchina.

  7. DinoSani dice:

    L’intervento di Marco ha proprio illuminato il dibattito…ora sì che ci è tutto più chiaro ;)