Il Festival Internazionale del Giornalismo dei Perugia è ormai da anni un grande successo. Per molte ragioni: la ricchezza di interventi diversi, il respiro internazionale, il mix fra i volti celebri della TV e della radio mescolati all’entusiasmo dei volontari. Per esempio oggi davanti al Brufani (l’albergo che è il centro nevralgico della manifestazione) ho visto Marco Travaglio impettito e con occhiali scuri che saliva su una lunga auto anch’essa scura con autista, mentre tutti lo osservavano: una scena degna di una passarella hollywoodiana. Contemporaneamente accade anche l’esatto contrario: molti bravi giornalisti a due metri da chiunque, disponibili e dialoganti. (L’altra sera alla festa del Post ho chiacchierato a lungo con Mario Calabresi: io temevo che lui – grande e grosso com’è – mi volesse picchiare per certe cose che ho scritto ed invece è stato gentilissimo e carino).
Il festival, visto da Perugia, trasmette un messaggio elementare: l’informazione è un valore molto apprezzato, una professione invidiata e affascinante, un luogo sano nel quale provare ad immaginare sé stessi e le proprie aspirazioni. O almeno un luogo culturale nel quale andare ad ascoltare cose interessanti sui temi più vari.
A tale proposito forse il merito principale di Arianna e Chris in questi anni è stato quello di trovare un equilibrio fra rovesciare il tavolo (oggi uno degli speech principali era affidato ad un giornalista iraniano incarcerato per anni dal regime) e presidiarne l’agenda, accostando con intelligenza rivoluzionari e vecchie prestigiose cariatidi. A cocktail shackerato ne esce forse un mondo leggermente migliore fatto di rivoluzionari più compassionevoli e vecchie cariatide meno isolate nel loro universo precedente.
E tuttavia il Festival del Giornalismo di Perugia è anche, indubitabilmente, una bolla. Un luogo dentro il quale è facilissimo perdere il contesto generale. Non perché i temi della crisi del giornalismo non siano trattati, tutt’altro, ma perché l’entusiamo palpabile nelle sale, il grande successo di pubblico, le lunghe file per entrare agli incontri, allontanano un po’ l’idea, molto diffusa e solidamente dimostrata nei numeri, di un business declinante anche e soprattutto per mancanza di lettori.
Così ieri – per esempio – una volta tornato a casa, ho notato, seguendo qualche panel online (il Festival da quest’anno è tutto in streaming dal vivo), che ad un enorme successo di pubblico nei luoghi fisici degli incontri a Perugia, nonostante i mille rimandi su tutti i giornali e siti web editoriali, corrispondeva un’audience online su Youtube molto esigua. Il panel live che ho seguito (pieno di firme note del giornalismo italiano) aveva una media di una ventina di persone collegate. Gli altri ne aveno mediamente meno. Ed anche i numeri su Youtube degli interventi registari nei giorni scorsi superano raramente le poche decine di contatti con rari casi in cui si superano le 100 visulizzazioni. Inutile dire che mi vengono in mente i tempi in cui un decennio fa tutti parlavano di blog, tutti temevano i blog, tutti citavano i blog ma alla fine, usciti dal circolino degli addetti e degli affezionati, nessuno ne sapeva niente.
Le motivazioni possibili di una simile distanza fra la calca di Perugia e il modesto successo in rete? Non so.
Forse ci interessa il contatto fisico con le persone che ci informano e che stimiamo?
Forse il mondo dei fan del giornalismo assomiglia come dimensioni a quello dei 1000 amici di Kevin Kelly e può essere a stento contenuto nelle stanze di Perugia (la fila per entrare al panel di Lercio ieri ha paralizzato mezzo Brufani) ma rimane lo stesso scarsamente rappresentato altrove, in accordo con una generica indolenza verso le news che tutti i numeri raccontano da anni?
Forse il format dello streaming mal si accorda alle esigenze di chi è interessato ai temi ma non ha così tanto tempo da dedicargli (un’oretta di attenzione esclusiva che molti online non sono disponibili a concedere)?
Forse gli appassionati di giornalismo non sono nel complesso abbastanza nerd da immaginare di seguire un evento live in streaming su Internet?
Forse gli organizzatori dovranno comunicare meglio la sezione video?
Forse il luogo dello streaming non è più Youtube?
Qualunque siano le ragioni l’effetto di uscire dalla calca di Perugia in cui si lotta per un posto in piedi, per accomodarsi a seguire il medesimo evento comodamente nello studio di casa propria insieme ad un’altra decina di persone da tutto il pianeta connesso, ha qualcosa di straniante che forse andrebbe indagato meglio.
Aprile 10th, 2016 at 10:11
Ci ho fatto caso anche io Massimo. Da quattro anni durante il fine settimana lungo che coincide con Perugia mi “metto via” almeno 4 ore per guardarmi qualche video e seguire panel dal titolo quantomeno accattivante e interessante per me.
Il problema vero, forse, sta nel fatto che restare davanti ad uno schermo di un PC o Tablet per 1 ora e passa (a volte anche 2), è difficile e noioso.
Le serie TV, la fruizione dei contenuti on-the-go, le sintesi delle sintesi ci stanno e ci hanno abituato male, a non avere pazienza e di conseguenza ad approfondire poco.
Quindi se per una grande minoranza questi discorsi possono essere carichi di significato e far riflettere, per la massa di YouTube, alla costante ricerca del “succo” del discorso possono sembrare un sacco di video dalla durata media di 1 ora caricata a raffica, senza una ben specifica catalogazione e con la quale non saper bene che farci.
Poi non saprei dire se a) caricarli ad una qualità più alta b) ri-pubblicarli con solo delle pillole del discorso c) catalogarli per argomenti e/o speaker possa portare ad un aumento dell’audience.
Probabilmente serve dell’altro, ma ancora non so cosa sia. O più semplicemente alla maggior parte delle persone non interessa un festival del genere, o peggio, non ne sa nemmeno dell’esistenza.
Aprile 10th, 2016 at 11:29
Per il terzo anno vi ho seguito con interesse via Twitter, in automatico, con l’ausilio del ROBottino. Tanti interessanti spunti di riflessioni in pillole di 140 chars anche per uno qualsiasi come il sottroscritto che conosce bene la Rete a ivello di bit e ritiene interessante anche il punto di vista , di nicchia , dei giornalisiti sulla Rete stessa ( punto di vista in carne o digitale che sia a volte parecchio spannometrico a livello di bit #diciamocelo :-)
Aprile 10th, 2016 at 12:49
Non hanno utilizzato la diretta via Periscope? Molto comodo da utilizzare in mobilità rispetto a YouTube ….
Aprile 10th, 2016 at 12:50
E, aggiungo, la manualità e interattività di Periscope conferisce alle dirette un aura di maggiore orizzontalità rispetto al “classico” streaming…
Aprile 10th, 2016 at 20:18
carino hollywood. è tutto, tutto molto bello. Anche la primavera e … far finta di essere sani
Aprile 10th, 2016 at 21:31
Sono stata venerdì e sabato a Perugia, oggi prima di andare a Villa Pamphili ho seguito i Millenials e tornata a casa mi sono sintonizzata sulla Sala dei Notari per Mentana, Arianna e Damilano.
È il quarto anno che vado a Perugia, ogni volta torno a casa felice e non sono neanche una giornalista.
Puoi seguire la diretta streaming, guardarti un panel un anno dopo, ma per me la cosa più bella resta sempre quell’atmosfera che si respira a Perugia.
Aprile 11th, 2016 at 11:24
Risposta parzialissima e personale:
sono abbastanza nerd (programmatore web, basta come referenza?), impegni e bambini permettendo parteciperei entusiasticamente al festival di Perugia, adoro il per me più comodo festival di Internazionale a Ferrara (di cui ho mancato forse una sola edizione) e.. di guardarmi gli incontri in streaming non ci penso neanche. Ci ho provato qualche volta, ma interrompevo dopo 10 minuti.
Forse per la qualità non sempre eccelsa, forse per le eventuali distrazioni, forse perché in quella modalità è più facile che non risulti un vero “impegno” cui ci si dedica con attenzione.
Sicuramente, almeno per me, il fattore determinante è che buona parte del valore (50%, 80%?) è l’essere li, vivere la cosa, condividerla con altri, anche confrontarsi o scambiare due parole con amichevoli sconosciuti. L’insieme del festival vale molto di più della somma dei singoli contenuti – per questo il singolo incontro, in streaming, non ha un’attrattiva paragonabile.
Aprile 11th, 2016 at 21:31
Ma ha chiesto a Calabresi per quale motivo ha intervistato Al Sisi? E se non l’ha fatto, per quale motivo?
Aprile 12th, 2016 at 12:03
@Giannibino che bella domanda hai fatto! La cosa che meno mi piace dei festival del giornalismo è che non fanno troppa differenza tra giornalisti rispettabili e i nostri cani da guardia dei potenti… Mante da che parte stai?
Aprile 12th, 2016 at 22:34
Interessano le forme (umane) e non i contenuti.
Chi guarderebbe una festa in streaming?
Aprile 18th, 2016 at 22:49
Ho notato la stessa cosa in altri eventi diffusi via streaming, tipo i concorsi pianistici di rilevanza mondiale.
Per esempio il Queen Elisabeth International Music Competition a Bruxelles non lo commenta quasi nessuno su twitter/facebook/youtube etc etc