Oggi Riccardo Luna ha pubblicato su Repubblica un articolo pieno di numeri tratti dal diluvio di statistiche che Eurostat sputa fuori a dicembre di ogni anno: sono ovviamente le cifre sull’accesso a Internet in Europa.
Secondo Riccardo, che è anche il Digital Champion italiano e quindi in qualche maniera una delle figure istituzionalmente interessate a questi numeri, in Italia “Internet corre”, il nostro Paese ha prodotto uno “scatto record” anche se (bontà sua) la svolta ancora non c’è.
E allora tocca guardarli con un po’ di attenzione questi numeri “da record” e sollevare qualche dubbio su alcune delle affermazioni contenute in questo articolo tanto euforico. E guardandoli (potete farlo anche voi partendo da qui) a me personalmente il risultato dell’Italia sembra il solito. L’accesso a Internet da noi resta sempre di molti punti percentuali sotto la media europea. Accedono regolarmente a Internet (cioè almeno una volta a settimana) il 63% degli italiani contro il 93% dei danesi, l’84% dei tedeschi, l’81% dei francesi, il 75% degli spagnoli, l’86% degli Estoni. I soliti numeri: peggio di noi continuanno a fare solo alcuni paesi come la Bulgaria e la Grecia.
(poi andrebbe detto che paradossalmente i nostri numeri dell’accesso sono tra i migliori, in altri campi limitrofi, broadband, e-commerce, egov ecc andiamo anche peggio)
Non vorrei far la figura del gufo ma temo sia così.
Luna dice:
siamo quelli che hanno registrato l’aumento maggiore: 4 punti percentuali, da 64 a 68% (e i non utenti sono passati dal 32 al 28%). La Germania, la Francia e il Regno Unito sono aumentati di un punto appena, la mitica Estonia (Paese simbolo del digitale) cresce di tre: ma va detto che questi Paesi partono da molto più in alto di noi…”
Si tratta di un discorso dalla logica fragilissima. Noi non siamo stati i migliori come Riccardo sembra suggerire.
Tutti i Paesi europei a bassa penetrazione di Internet sono cresciuti fra il 2014 e il 2015 di percentuali simili a quella italiana. La Grecia, La Romania, la Spagna e l’Estonia sono cresciute come noi di 4 punti percentuali. Cipro di 5. Quasi tutti questi Paesi (eccetto la Grecia che ha numeri simili ai nostri) hanno percentuali di utilizzo di Internet migliori dei nostri (quindi in teoria sarebbero dovuti crescere meno di noi). Molto semplicemente in un contesto europeo di grande e diffusa digitalizzazione l’effetto di traino della società digitale interessa anche i paesi più deboli i cui numeri lentamente migliorano e ovviamente con percentuali più significative di quelli nei quali il plateau è già stato raggiunto.
Scrive ancora Luna:
Eppure il dato italiano,comunque lo si guardi, è uno scatto in avanti, simile a quello che facemmo nel 2010.
In realtà lo “scatto in avanti” o i precedenti rallentamenti sembrano accomunare tutti i Paesi europei (e magari avere qualche relazione con la crisi economica). Se guardiamo i numero di crescita Internet di Italia e Spagna (ma vale più o meno anche per gli altri paesi) vediamo che pur dentro grandi differenze (gli spagnoli accedono a Internet 10 punti percentuali più di noi) mi pare si possa notare che nell’ultimo quinquiennio l’accesso a Internet è cresciuto ovunque in maniera più rilevante attorno al 2010 per ridursi negli anni successivi e ricrescere un po’ oggi. Nulla di tutto questo può essere insomma ascritto ad una qualche eccezione positiva italiana. Succede lo stesso ovunque.
Insomma i numeri da sempre possono essere ammaestrati come si preferisce: quelli di Eurostat di quest’anno – per come la vedo io – dicono che l’Italia va come al solito, male come al solito. Peggio di noi fanno solo pochissimi paesi (la Bulgaria per esempio) che dal fondo classifica è cresciuta pochissimo nonostante tutto. Siamo insomma nel gruppo degli ultimi con percentuali di crescita analoghe a quelle dei nostri sfigatissimi competitor.
Sembrerà strano dopo tutto questo diluvio di cifre ma devo aggiungere che a me questi numeri interessano pochissimo, sarà che li ho seguiti masticando amaro per troppi anni: sono convinto da tempo che le pratiche che li potranno cambiare (la riforma scolastica in primis) avranno effetto (se l’avranno) solo su archi temporali lunghi.
Non mi piace molto nemmeno il pessimismo inevitabile che simili dati sembrerebbero autorizzare. Ne ho scritto per troppo tempo e vorrei iniziare a parlare solo di cose concrete che possono essere immaginate per migliorarli. Ma vorrei farlo senza far finta che simili dati non esistano. Perché la narrazione per la narrazione, l’utilizzo delle statistiche per raccontare un mondo che ci piacerebbe tanto ma che ancora non c’è, beh anche quella davvero mi ha stancato.
Dicembre 20th, 2015 at 17:20
Grazie del pezzo, di cui apprezzo il velato tono di polemica politica (apprezzo il velato, cioè, e poi chi ha orecchie, intenda). Vale sempre la pena di leggere i commenti argomentati di un giudizio senza argomenti e la tua scrittura è istruttiva in questo senso, magari facesse scuola. Un unico appunto sulla “narrazione”. Faccio l’antropologo e vivo di “narrazione” dal 1994, un pochino prima, quindi, della scoperta dello storytelling da parte degli esperti di marketing. Nella sintesi che fai tu del pezzo di Luna (non leggo repubblica, quindi non so com’è il testo integrale) NON c’è alcun riferimento ad alcuna “narrazione” direi, per cui possiamo lasciare la poveraccia, che tanto deve soffrire in questo periodo.
Dicembre 20th, 2015 at 17:54
si torturano i numeri finché non confessano quello che vogliamo fargli dire. Nel governo sono bravissimi in questo non solo nel campo digitale, come nel caso della “ripresa” dell’occupazione dovuta al job act.
Dicembre 20th, 2015 at 18:01
Dicesi “Wishful thinking” .. come si dirà in italiano?
Dicembre 20th, 2015 at 18:26
“Pio desiderio”
Dicembre 20th, 2015 at 18:27
[…] Mantellini fa le pulci all’articolo del Digital Champion italiano Riccardo Luna, che magnifica i grandi risultati di […]
Dicembre 20th, 2015 at 18:37
è una cosa tipo “credere che una cosa sia come si vorrebbe che fosse e non come è realmente”, esiste un’espressione breve in italiano (pio desiderio mi piace ma non credo :-) ?
Dicembre 20th, 2015 at 22:45
Secondo chi un accesso regolare a internet è di “almeno una volta a settimana”?
Cioè, meno di una volta al giorno secondo me è raro, no?
Dicembre 20th, 2015 at 23:02
[…] Per fortuna Massimo Mantellini (che di internet se ne intende e ci lavora) mi conforta sull’opinione che anche Riccardo Luna si sia un (bel) po’ incagliato nella retorica del vedere crescita a tutti i costi. Lo spiega bene qui. […]
Dicembre 21st, 2015 at 10:03
“almeno una volta a settimana” non mi pare possa essere considerato un utilizzo serio della rete (che poi andrebbe anche chiarito cosa si fa quell’unica volta che si accede alla settimana)
Dicembre 21st, 2015 at 19:14
Forse andrebbe anche chiarito cosa fa anche chi accede millemila volte al giorno…
E poi per “utilizzo serio” cosa si intende? Conosco gente che è perennemente connessa, ed il 90% del suo consumo di banda è causato dal continuo aggiornare la foto del profilo sui social.
Dicembre 21st, 2015 at 22:07
[…] Mantellini nutre dubbi sulla “narrazione” entusiasmante che Riccardo Luna, digital champion […]
Dicembre 22nd, 2015 at 02:48
[…] Riccardo Luna su Repubblica ha parlato di rimonta, riguardo all’utilizzo di Internet in Italia nei confronti degli altri paesi europei. I dati alla base dell’analisi di Luna sono quelli di Eurostat, sui quali Mantellini ha però un’altra opinione: […]
Dicembre 22nd, 2015 at 07:48
Che cosa significa esattamente “un utilizzo serio della rete”? Il fatto di essere costantemente connessi non qualifica l’utilizzo semmai il contrario.
Dicembre 22nd, 2015 at 10:24
utilizzo serio della rete non significa necessariamente usare servizi “impegnati”, ma usare una serie di servizi, quali che siano. Se io mi collego una volta alla settimana per controllare solo la mail o facebook, questo è un uso saltuario e molto parziale
Dicembre 22nd, 2015 at 11:01
[…] il panorama è meno euforico: accedono regolarmente a internet il 63% degli italiani, contro — come nota Mantellini — l’84% dei tedeschi, 81% dei francesi o il 75% degli spagnoli. Siamo aumentati più […]
Dicembre 22nd, 2015 at 11:56
@ArgiaSbolenfi “Wishful thinking” l’ho visto tradotto con “pia illusione” che mi pare idiomaticamente equivalente.
Dicembre 22nd, 2015 at 12:34
la grecia ci ha raggiunto grazie a Tzipras
Dicembre 23rd, 2015 at 17:55
“Una volta a settimana” è una statistica, non va presa in senso letterale.
Ci sono cinque o sei italiani su sette che navigano tutti i giorni, uno o due che non lo fanno mai.
E quando lo fanno, di solito rompono le scatole coi “pericoli della rete”, solo perchè non sanno impostare un browser ;-)
Dicembre 24th, 2015 at 14:59
Ma la butto lì così, non è che uno per caso non va su internet perché ha di meglio da fare tipo:
leggere i Buddenbrook
suonare il violino
portare a spasso il cane
fare volontariato
andare dal dentista
accompagnare il figlio in piscina
andare al cinema
grattarsi la schiena
fare due chiacchiere con il vicino anziché mandargli un messaggio su Facebook?
Mah, sarebbe interessante un sondaggio in proposito (non via mail)
Dicembre 24th, 2015 at 18:56
@Maurizio: d’accordo su tutto, ma invece dei pesanti Buddenbrook, non sarebbe meglio leggere “Fuga dal natale” di John Grisham?
La morale è “Se devi partire, parti subito, o ti toccherà il natale, con tutte le conseguenze” ;-)
Dicembre 27th, 2015 at 16:16
L’utilizzo serio, l’utilizzo poco serio. Io sono una freelance che lavora da casa. In casa il modem wifi e il suo extender sono sempre accesi, in modo da permettere la connessione permanente di due portatili, due cellulari e un tablet (la famiglia è composta da tre persone). Essere connessa mi serve per lavorare (dizionari on-line, risorse terminologiche e di altro tipo in varie lingue), per leggere la posta elettronica e le mailing list professionali e sindacali di cui sono membro (e una la modero), per informarmi sull’attualità, intrattenermi con musica, film e letture, avere contatti sociali. Inoltre su internet faccio acquisti di ogni tipo, dai regali di Natale ai biglietti ferroviari, aerei, di mostre eccetera, ci gestisco il conto corrente e la carta di credito, ci pago la mensa della scuola e le multe. (Una volta mi hanno clonato la carta di credito: in banca. La /mia/ banca. In rete non mi è mai successo niente, a parte rimborsi fulminei da commercianti che avevano commesso errori, ma non erano italiani.) Sì, sono “sempre attaccata”, caspiterina! Ciò nonostante, ho letto i Buddenbrook (si consiglia sempre la splendente traduzione di Ervino Pocar) e non solo, ho una figlia che accompagno in piscina (ma anche a musica) e un cane che porto a spasso, faccio un po’ di volontariato e vedo qualche film al cinema, se necessario vado dal dentista e persino dall’ortopedico e dal ginecologo. Chiacchiero in treno, al telefono, al bar, in edicola, al supermercato, anzi pe’ famme sta’ zitta tocca sparamme, la schiena ho la fortuna di potermela far grattare da terzi, e non suono il violino solo perché non sono capace (però canto parecchio). È serio, questo mio utilizzo della rete? Ma soprattutto: stiamo ancora fermi a “chi va su internet” vs. “chi vive la vita vera”? Il logorio della vita moderna contro i mulini bianchi? Gli e-book e il profumo-della-carta? Oh, good grief.
Dicembre 27th, 2015 at 21:12
[…] dai commenti di questo […]
Dicembre 27th, 2015 at 23:15
@Maurizio uno non va su internet perche non può permettersi uno smartphone o il piano tariffario conseguente o magari i 39€ dell’adsl del fisso, oppure non va su internet perchè sebbene abbia 40 anni oltre ad non essere informaticamente alfabetizzato non riesce a capire l’utilità di un mezzo che sente totalmente estraneo, oppure uno vorrebbe utilizzare internet ma abita in un luogo mal servito privo di segnale ecc ecc Poi certo c’è anche quello che assume verso internet atteggiamenti snob (un tempo erano quelli che asserivano di non guardare mai la tv anzi di nn averla proprio in casa) ma sono pochissimi