Io ammiro molto chi è disponibile al confronto sempre e comunque, con chiunque. Chi oppone moderazione e ragionevolezza alla protervia altrui, chi ogni volta decide di ricominciare da capo ad imbastire un dialogo fra pari. Per queste persone la misura non è mai colma, ci sono sempre spazi di confronto e dibattito. Così ammiro molto quello che Luca De Biase e Paolo Barberis hanno scritto oggi sul diluvio di provvedimenti idioti che il governo, Agcom ed il Parlamento stanno imbastendo. Detto questo non mi pare che questo atteggiamento di ampia comprensione abbia in passato prodotto molti frutti. Luca e Paolo sostengono che i processi e le decisioni dovrebbero essere fatti comprendendo il loro impatto sul digitale. È una cosa sacrosanta, che sottoscrivo mille volte ma che mi pare non tenga conto dell’esistente. E l’esistente è, da oltre un decennio, che il digitale viene costantemente vessato, insultato e marginalizzato dai padroni del vapore che lo vedono come il fumo negli occhi, come l’ostacolo ai propri business, come una spina alla propria tendenza ad un immobilismo conservatore. E noi che facciamo allora? Proponiamo una logica multistakeholders come scrive De Biase ben sapendo che la parte di quel “multi” che conta -l’unica che conta da sempre e che è ben avvinghiata ai palazzi del potere – è quella che paralizza i processi e li riduce ai propri interessi? Personalmente credo che si dovrebbe fare diversamente: che senza intenti punitivi nei confronti di nessuno la logica delle decisioni non debba essere più quella di una eterna infruttuosa consultazione dove a parole ci si trova tutti sempre d’accordo (tranne poi tramare in privato per favorire i propri interessi come sta avvenendo anche in questi giorni). Dove il faro non sia quello di considerare sempre tutto e tutti ma quello di pensare prima agli interessi dei cittadini. Perché io cittadino devo scoprire che Agcom è schierata da anni contro la neutralità della rete o che SIAE scrive le norme sull’equo compenso, che gli editori vorrebbero monetizzare i link in rete o che con la scusa di far pagare le tasse a chi crea valore si vuole favorire chi valore e innovazione non ne crea da decenni? A nome di chi parlano tutti questi signori? Mio no di sicuro. Io penso da sempre che l’interesse dei cittadini, anche nei suoi eventuali aspetti antieconomici, debba essere quello che guida la politica e se questo è vero oggi la risposta da parte di una politica forte a questi continui e indecorosi attacchi, in un paese tra l’altro depressissimo, debba essere il digitale prima, tutto il resto dopo.

10 commenti a “Digitale prima, una risposta a Luca e Paolo”

  1. mORA dice:

    Art. 67
    Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.

    Ripartiamo da qui?
    E come si concilia quanto sopra con quel che dici?
    Semplice: uno dice prima cosa intende fare, poi rende verificabile il suo operato.
    Uno chi?
    Uno che sa ciò di cui parla.
    Potrebbe accadere che uno cambi idea su un fatto specifico, articolo 67, appunto, ma se la cambia su tutto secondo me non viene rieletto; e probabilmente non sa molto di ciò di cui parla.

    Uno propone una serie di persone siffatte agli elettori (e no, non c’è nulla di tutto questo nel M5S, che non a caso odia l’articolo67) e si vede cosa accade. Chissà.

    Perchè, secondo me, fare pressione su gente che non ti capisce, o anche solo aprire al dialogo con gente così, non ti porta lontano.

    Perché?
    Perché anche volesse non avrebbe gli strumenti per fare.

    Allora?

  2. Dino Sani dice:

    Se vogliamo parlare ragionevolmente con un parlamento di illegittimi mai scelti dagli elettori, temo che perdiamo tempo.
    Se ne devono andare e dobbiamo scegliere chi votare anche sapendo come la pensa é cosa vuole fare sul digitale.

    Il digitale prima, tutto il resto dopo.
    É uno slogan bellissimo per cercare di posizionare il nostro paese sulla linea degli altri più evoluti e avanzati economicamente e tecnologicamente (da quando c’é il capitalismo economia e tecnologia sono collegate).

    Credo che andrebbe fatto, da parte di chi vuole davvero innovare, un vero e proprio manifesto per il rilancio del digitale in Italia, con 10/20 punti imprescindibili, da richiedere di rispettare a tutti i parlamentari futuri. Quelli che ci sono oggi se ne devono andare, non sono legittimati.
    Bravo @mante, quando ti leggo così incazzato mi piaci!!!
    Ma diamoci d fare con questo manifesto, su!

  3. mORA dice:

    http://edue.wordpress.com/2013/12/18/un-linkino-no-eh/

  4. albertog dice:

    Mi permetto di fare una riflessione: se gli editori hanno pensato di poter “monetizzare i link in rete”, non sarebbe utile prendere atto che in parte ciò è dovuto a una mancata produzione di contenuti alternativi? Mi riferisco ad esempio al fatto che la produzione delle notizie arriva sempre dai media tradizionali e in particolare dalle agenzie di stampa. Quanto potranno durare queste fabbriche di notizie se i media tradizionali non riusciranno più a sostenerle? E con che cosa verrà saziata la fame di notizie in rete?

  5. frank dice:

    Bravo @Mante, concordo

    e permettimi un dubbio. Digitale prima. prima l’uovo o la gallina?

    Per molti potrà sembrare paradossale, ma in questo contesto, un contesto così formato, un vero cambio di mentalità in favore dei temi del digitale si avrà (condizione necessaria ma non sufficiente) col cambiamento dell’altro medium, il principale mezzo d’informazione e formazione: il sistema televisivo, attualmente controllato in modo assoluto da pochissimi. E questo autoritarismo oligarchico, che viene imposto senza diritto di replica, è la più palese negazione dei valori costituzionali e democratici.

    ‘padroni del vapore’ è una sintesi efficace.

    [e se i due dei venti lunghissimi anni trascorsi, compreso il sigillo presidenzial-monarchico del ‘compromesso storico’ tra due poli dell’oligopolio, hanno un senso]

    i cittadini s’informano e si formano: questo ha soprattutto un significato pedagogico e riguarda una certa modalità mentale, modalità del sapere: vengono quindi applicati al web modelli televisivi e completamente sbagliati

    Può sembrar una logica paradossale, anacronistica: ancora TV e sempre più TV, la supremazia televisiva sul web. L’intero medium al servizio del partito e non una rete di reti, un pluralismo, un servizio Pubblico

    cioè in Italia, politicamente parlando: lo sviluppo del web dipende di fatto (e purtroppo), dal sistema televisivo. Credo sia così ormai da anni, e valgono i dati che ha pubblicato Mantellini nelle scorse settimane: il 75% dei giovani s’informa guardando la TV (e potremmo benissimo incrociare questo dato con l’andamento della disoccupazione)

    La soluzione non è ovviamente quella di privatizzare il mezzo a chi già lo controlla (!), ma è quella di sganciare il più possibile, e in modo irreversibile, i partiti dal controllo del massmedia. E il Web ha un ruolo culturale centrale, per come è concepito. L’approccio con la complessità del web non può essere nemmeno limitato ad un servizio come Facebook o Twitter: è una scelta di campo in una Repubblica democratica, una scelta ‘etica’

    questa ovviamente è solo la mia modesta opinione: abbiamo aspettato 30 anni, e faremo anche 31, stappando il bottiglione

    [..] La sua vita politica era terminata ancora in un altro maggio di sangue, il 1992, quando aveva fallito l’obiettivo di andare al Quirinale. «La prego di dire a Gava che se non sarò Presidente della Repubblica finirà la Prima Repubblica», aveva mandato a dire la sera prima dell’inizio delle votazioni al potente notabile doroteo. Una cupa profezia. Qualche ora prima, nel pomeriggio, di fronte ai prefetti riuniti al ministero dell’Interno, il Divo Giulio si era lasciato andare a qualche ragionamento insolito per lui. «Può darsi che sia meglio che i partiti se ne vadano, che sciolgano le fila. O che almeno si trasformino in comitati elettorali all’americana». La voce nasale del presidente del Consiglio si era affilato ancora di più quando era passato ad esaminare il tema più scabroso di quei giorni, lo scandalo di Milano: «I problemi che nascono dalle recenti inchieste vanno affrontati politicamente. Bisogna abolire il finanziamento pubblico dei partiti prima che sia un referendum a farlo». E, già che ci siamo, aggiunse, è necessario procedere anche con il dimezzamento del numero dei ministeri. Parole inaudite: in platea i funzionari abbottonati nel loro abito blu, impietriti, sconcertati da quelle parole che arrivavano dall’uomo che del Sistema era il simbolo vivente. Il colpo più duro arrivò in finale, un cupo esame di coscienza, un mea culpa pubblico, una sentenza terribile, senza assoluzione né redenzione: «Per certe cose e per certe scelte che abbiamo fatto meritiamo l’Inferno. Che il Signore ci perdoni». [..] (Marco Damilano)

  6. massimo mantellini dice:

    @albertog tesi contestabile, sarebbe interessante calcolare la percentuale di contenuti che gli editori marchiano sui loro siti web dopo averli presi in rete (di sicuro oggi oltre il 50%)

  7. ildany dice:

    @albertog, oltre alla risposta che ti ha già dato Mantellini e che condivido in pieno, che c’è anche da tener conto che molti dei contenuti pubblicati online dai grandi giornali non sono altro che copia-incolla di comunicati stampa o news di agenzie di stampa senza nessun tipo di valore aggiunto.

  8. se-po dice:

    Senza contare le volte che i quotidiani italiani traducono letteralmente articoli da autorevoli quotidiani stranieri (tipo il Daily Mail).
    Come possono sostenere il diritto d’autore? Per una traduzione?

  9. .mau. dice:

    la traduzione è un’opera derivata e quindi ricade sotto la disciplina del diritto d’autore.

  10. mORA dice:

    Intanto domani chiude Presseurop:

    http://www.presseurop.eu/it/content/editorial/4369891-senza-presseurop