Ieri sera dopo cena, complice la assenza dei figli (dio benedica i nonni), raccontavo ad Alessandra la storia dello scrivere difficile della presentazione del libro di Domanin ed il nostro greve prenderlo un po’ in giro. Mi viene in mente – mi ha detto subito – una cosa simile. Gia’ nel 2° secolo si crearono due diverse scuole di retorica, quella attica e quella asiana. (Mai sentito nulla del genere, pensavo fra me e me). L’eloquenza asiana (me lo ha detto Google piu’ tardi), quella di Domanin per capirci, “ricercava, soprattutto, il pathos e la musicalità , usava frasi sofisticate, ricche di metafore e giochi di parole e strutturate secondo artificiosi schemi ritmici“. Mentre gli atticisti (Gaspar se scrivesse un bel tomo di filosofia, per dire) “privilegiavano lo stile semplice e scarno dell’oratore attico Lisia“. Poi Ale mi ha fatto l’esempio di Panofsky e di Gombrich, due grandi storici dell’arte e del pensiero, che scrivevano in maniera elegante e comprensibile (e infatti i loro testi sono alla portata di molti) mentre chi si e’ occupato di spiegare Panofsky e Gombrich lo ha fatto spesso in maniera contorta, verbosa e complicatissima.

Questa sera torno a casa e mia moglie distrattamente mi fa: “Ah poi, su quella cosa di cui parlavamo ieri sera ho scritto un post. UN POST? dico io (non credo alle mie orecchie). Beh da non crederci lo ha scritto. Solo che lo ha scritto a penna, cosi’ il povero scriba ve lo trascrive qui sotto:

Quando si comunicano contenuti di una certa complessita’ dati da alte forme di pensiero spesso non e’ possibile non usare un registro linguistico ricercato, poiche’ “adeguato” a cio’ che si esprime, cosi’ come e’ inevitabile una terminologia specifica caratterizzante la disciplina in cui si opera. Non si puo’ scendere sempre a forme di divulgazione troppo semplificate perche’ queste porterebbero a snaturare il pensiero stesso, tendendo a banalizzarlo e a togliere sostanza al contenuto. Tutto cio’ e’ vero, pero’……….

E’ giusto usare forme lessicali e sintattiche che abbiano la finalita’ unica di complicare la trasmissione del contenuto, quasi un esercizio di “bello scrivere” in fondo fine a se stesso?

E’ giusto far spendere tante energie al lettore nello sforzo di “decodificare” questo linguaggio complesso a discapito di una piu’ proficua riflessione sul contenuto che peraltro, come avviene in questi frangenti, da momento focale diviene momento marginale?

E non c’e’ anche un po’ di snobismo in questo far sentire (in qualche caso volutamente, temo) “inadeguati” anche coloro che, normodotati in quanto ad intelligenza e di buona cultura e perfettamente in grado di accostarsi al testo, vengono tenuti a distanza perche’: “Mi dispiace, non siete iniziati!”

Suvvia! L’iniziazione facilita e porta la comprensione a livelli superiori: fa andare oltre, ma qui e’ questione di costrutto grammaticale.

E’ poi cosi’ schifosamente riduttivo rendersi piu’ comprensibili e di conseguenza -perche’ no – piu’ piacevoli?

Spero di essere stata chiara. Se non lo sono stata mi dispiace: non siete degli iniziati!

40 commenti a “ALE HA SCRITTO un POST !!!”

  1. Gaspar dice:

    Il primo di una lunga serie, oso sperare…

    :-)

  2. ugo dice:

    niente male come inizio. cert che però anche lei, in quanto ad arte oratoria, non scherza.

  3. g.g. dice:

    /clap Ale :)

  4. Pier Luigi Tolardo dice:

    L'ho sempre deyto io: una signora così bella e colta deve avere un Blog.

  5. Fabio Metitieri dice:

    Mah… quando i nonni tengono i figli, si trommmba fino allo sfinimento. O no? E questi invece scrivono i post sulla filosofia…

    M a l a t i, sono m a l a t i…

    Ciao, Fabio.

  6. Massimo Morelli dice:

    Urrah!!!

    Mi hai quasi fatto venire voglia di leggere il Gombrich della Betta.

    Quasi.

  7. Fabio Metitieri dice:

    Comunque, sull'argomento in questione mi esprimo, anche se in ritardo (Ero via per lavoro. Vi siete comportati bene in mia assenza? Non ho tempo/voglia di guardare i commenti degli ultimi giorni).

    Secondo me, tra noi mortali mediocri, cioe' a parte i grandi filosofi di cui non e' piu' il tempo da secoli, oggi c'e' chi ha qualcosa da dire e vuole comunicarlo al maggior numero di persone, e riesce faticosamente a farlo (perche' non e' facile), e chi invece non ha un cazzo da dire ma ha la possibilita' di cavalcare una moda e di catturare un editore un po' pirla, e se il nulla che ha dire lo scrive difficile lo pubblicano e magari vende anche 400 copie.

    In questi casi, ai poster e alle vendite l'ardua sentenza.

    Io potrei fare in qualsiasi momento un elenco dei libri di wannabee guru nostrani che tra due o tre anni saranno carta da cesso, macerati per almeno tre quarti di una prima e unica tiratura che non ha venduto un beato.

    Detto questo, preciso: mai letto igino. E non credo proprio che lo leggero', dopo quanto ho sentito dire qui. Voglio dire, gia' non ho tempo di leggere Vattimo, figurati un po' se ho voglia di sacrificare un film su Dvd con Cat Woman per igino… Quindi, sto parlando per massime categorie, senza riferimenti al caso specifico.

    Detto questo, saro' sempre un grande ammiratore di chi spiega bene e con semplicita' cose anche difficili – Gombrich l'ho letto da piccolo, e ancora lo ricordo – e non mi stanchero' mai di prendere per il culo, per esempio, Castells e soprattutto chi tenta di imitarlo (che cavalca l'onda, ma non fate l'onda… che tra qualche anno sara' scomparso).

    La fatica maggiore che ho fatto nello scrivere, e non quando ho smesso di lavorare come informatico e ho iniziato a fare il giornalista, ma gia' quando, da informatico, scrivevo manuali per utenti, e' stata proprio l'imparare a pensare che non si scrive per se', ma per dei lettori. Concreti, maledetti, e con una testa diversa dalla mia.

    C'e' chi questo proprio non ha voglia di capirlo. Per snobismo, per coglioneria o piu' spesso per pigrizia e per incapacita'. Non val la pena di leggerli.

    Ciao, Fabio.

  8. marco dice:

    Apprezzo l'argomentare articolato della tua signora, che se scrivesse più spesso da queste parti farebbe da contraltare ad alcuni tuoi post un po' tranchant ;-).

    Nello specifico dell'argomento, penso che la questione non si possa trattare in termini generali e tantomento in termini assoluti, ed il testo di Alessandra mi sembra dimostrarlo.

    Non sono un sostenitore nè del 'se sei bravo davvero riesci a spiegare tutto in modo semplice' , che mi pare pura demagogia, nè del 'se non capite è perchè siete ignoranti'.

    Il problema non è se un' esposizione è difficile in assoluto, ma se lo è in relativo alla complessità  dell'argomento, i.e. se introduce o no difficoltà  *evitabili*.

    Per esempio, la fisica spiegata da Feynmann è sovente godibile e a volte divertente.

    Riduce le difficoltà  al minimo ? Spesso sì.

    Ciò non toglie che spesso ci si debba comunque fare il mazzo a capirla.

  9. Pensieri Oziosi dice:

    Forse Ale ha detto più di quanto fosse nelle sue intenzioni: Non si puo’ scendere sempre a forme di divulgazione troppo semplificate perche’ queste porterebbero a snaturare il pensiero stesso, tendendo a banalizzarlo e a togliere sostanza al contenuto.

    Io mi domando se non sia proprio lì il punto, anche se magari in una diversa prospettiva: quale modo migliore per mascherare un pensiero banale che camuffarlo all’interno di una prosa convoluta (e magari involuta)?

    Non che io pensi di essere particolarmente originale: immagino che una buona parte degli studenti liceali sia giunta ad una conclusione simile.

  10. Fabio Metitieri dice:

    No, Marco, non e' che devi saper spiegare tutto a tutti, tipo i massimi sistemi al deputato della lega, per carita', a tutto c'e' un limite.

    Sarebbe doveroso, pero', decidere per chi scrivi e cosa. E magari dirlo. In modo coerente. E poi farti il culo per scrivere cose adatte al tuo lettore.

    Un lavoro che molti non fanno. O una cosa su cui molti giocano, sperando che facendo i difficili su qualche terreno di moda si riesca a essere cagati meglio degli altri. Il che spesso capita, anche se non a lungo.

    Ok, non volevo dirlo, ma…

    Formenti? Che cazzo ha detto? Forse non lo sa manco lui, che dice che il turbocapitalismo e' troppo complicato da capire (frase che nessuno mai riprende, segno che nessuno lo ha realmente letto).

    Eppure tutti lo citano, spesso a sproposito (io l'ho letto, e leggo chi lo cita, quindi me ne accorgo).

    Carlini? L'ultimo suo libro nega il precedente e torna all'eta' della pietra in materia di scrittura su Web. E Ok, e' passato inosservato, non l'ha cagato nessuno (io stesso non l'ho recensito, dato che non dice nulla di decente), ma se lo ignori pare un peccato e ti cazziano… E ti cazziano senza averlo letto: ma dai, e' Carlini… E vaffanculo, io l'ho letto e tu no, e decido io e non lo si cita…

    E' che non ci sono molte persone che lavorano seriamente, leggendo tutto e giudicando opinabilmente ma con ragion veduta, con onesta' e con un po' di sudore sulle righe.

    L'editoria affonda anche perche' e' solo capace di seguire le mode, A cappella. In Italia non c'e' piu' un cazzo di nessuno che sappia fare l'Editore. Imo.

    Vi risparimio il g'accuse sugli editori che non fanno piu' revisione dei testi, non fanno piu' correzione ortografica, non fanno piu' impaginazione… non fanno piu' un beato…. promozione non l'hanno mai fatta… e quando vendiamo dovrebbero farci dei monumenti… non ne parlo, che si andrebbe off topic.

    Ciao, Fabio.

  11. b.georg dice:

    aro massimo, non per girare il coltello nella piaga, ma la descrizione delle due scuole di retorica dimostra che:

    a) igino di sicuro non appartiene all'asiana, perché tutto si può dire tranne che il suo sia uno stile che "ricerca il pathos e la musicalità , usa frasi sofisticate ricche di metafore e giochi di parole e strutturate secondo artificiosi giochi ritmici"; al contrario la sua prosa è totalmente "scarna", fatta di frasi piuttosto brevi, con pochi incisi, smozzicate, talmente attenta al significato tecnico (ebbene sì; per iniziati, quantomeno ai temi filosofici di cui tratta) dei termini da apparire sghemba, sgraziata, quasi irrigidita, sacrificando alla precisione (tecnica appunto) del contenuto qualsiasi musicalità  piena e retorica e la facile presa sul pubblico, e la nostra lunga discussione è sufficiente a dimostralo;

    b) tu sei un pessimo divulgatore, dato che hai dato a tua moglie un quadro del tutto rovesciato della situazione, universalizzando la tua incomprensione del testo come inconsistenza del contenuto a favore della forma, quando è evidente il contrario: quello di ignino non è proprio "bello scrivere", semmai brutto. Ma avere un "bello scrivere" è necessario per un filosofo? Secondo tua moglie decisamente no. Dunque nemmeno secondo te. Ergo, per coerenza dovresti dire che preferisci lo stile di igino, anche se non lo capisci.

    ;-)

  12. b.georg dice:

    (e comunque, ripeto anche qui due domande fatte altrove, ma nessuno mi da una cacchio di risposta:

    1) con la storia dell'arte funziona – lo spero bene – magari pure con certa fisica – mah… – ma con la filosofia? Puoi dirmi il titolo di un testo "serio" di filosofia da te letto nelal tua vita che davvero non ti abbia richiesto una almeno discreta fatica? Io mi ci sono laureato (col massimo dei voti, si può dire?) e non mi è quasi mai capitato. Quasi, lo ammetto, ma ne ho letti un bel po', è un fatto statistico…

    2) Sono così sicuri quelli che dicono: è solo una banalità  involuta, si poteva dire semplice, di aver capito sul serio di cosa si sta parlando e i relativi riferimenti? Se non ne sono proprio sicuri sicuri, sono proprio sicuri d'altro canto che la figura dei fresconi non la stiano facendo loro? Così, è una possibilità … vale la pena di chiederselo, no?)

    infine vi lascio con un divertente paradosso: se si possono scrivere solo testi divulgativi, chi scrive i testi di cui i testi divulgativi devono essere divulgazioni?

    Senza testi niente manuali divulgativi, senza manuali divulgativi niente bignami, e senza bignami, cavoli, addio blog!

    :-))

    per ogni altra questione, rimando al commento di lorenza da gneri

  13. g.g. dice:

    Giorgio, potresti provare con le Ricerche Filosofiche di Wittgenstein.

    Quanto alla tua osservazione sulla divulgazione, la sposo in pieno. Esistono diversi passaggi di "traduzione" del pensiero, affinchè possa raggiungere tutti ed è giusto così.

    Certo, non è il caso di Igino: nel suo caso non è la forma il problema, ma la qualità  del pensiero. La forma, semplicemente, ne è lo specchio (imho) :)

  14. b.georg dice:

    le Ricerche filosofiche di wittgenstein??

    non scherzare, su…

    :)

  15. g.g. dice:

    E poi: l'anno scorso (non ricordo chi, mi pare Carlo) facemmo un esperimento tradicendo Igino con Google, dal russo al portoghese e poi in inglese (mi pare) e non si notava affatto la differenza. Igino stesso avrebbe potuto prendere il risultato come il lavoro del suo editor (sono solidale col mal di testa del poveretto) e accettarlo :)

  16. Joe Tempesta dice:

    Si vabbene tutto, ma… "lo ha scritto A PENNA"?

    Le fabbricano ancora?

    ;-)

  17. b.georg dice:

    gg, se lo dici tu…

    secondo me quella citazione è piuttosto semplice. forse perché so di cosa sta parlando. (di queste due frasi puoi leggere il contrario in trasparenza)

    il contenuto invece no, allude a un paio di paradossi gnoseologici (si può dire?) che personalmente considero complicatissimi. che poi gli autori ne siano consapevoli o meno, sono affari loro e di chi leggerà  il libro.

  18. g.g. dice:

    Giorgio, scherzia a parte (Igino è pur sempre l'icona Klingon della Rete) domani se ho tempo facciamo un paragone tra l ricerche filosofiche e Igino. E ne discutiamo con calma. Ci stai?

  19. b.georg dice:

    gg, mi piacerebbe, ma domani lavoro, mica come voi scioperati :))

    fra qualche giorno, dai.

    però, rifletti su questo: c'è senz'altro un talento di alcuni (pochissimi) filosofi nello scrivere in modo semplice. E peraltro c'è un talento di altri nel non dire niente.

    Il primo è un dono, non ne discuto, ma è davvero necessario per filosofare? No, te l'assicuro, oppure non si spiega hegel (che chiunque capisca l'abc della filosofia non può non ritenere un genio, al di là  delle proprie preferenze, ma che per ogni frase richiede lacrime).

    Su tutti gli altri c'è da vedere se non abbiano il secondo talento, oppure semplicemente dicano cose interessanti (più o meno, mica tutti sono geni, of course) senza possedere però talento retorico, limitandosi a essere rigorosi, precisi, pedanti, noiosi, come si conviene. E come si fa a decidere se sei vacuo o solo noioso? Osservando la scrittura? Ovviamente no, seguendo i concetti. Sempre che lo si possa fare, cioè si posseggano i tecnicismi per farlo.

    Infine: sei sicuro che capire ogni singola frase delle ricerche logiche, perché ben scritte, equivalga a capire il loro significato effettivo, rispetto al primo wittgenstein, al neopositivismo da cui si è staccato, ad heidegger, alla teoria del linguaggio aristotelica classica ecc ecc., i generale alla filosofia e ai suoi problemi? (che, ahimé, NON sono i problemi dell'uomo comune e della sua esistenza)

    E non capire, non possedere queste cose, equivale a capire le ricerche logiche? (non sto parlando di te o di me ovviamente, ma di un lettore alfabetizzato medio).

    Io dico di no (dico che lo dico per retorica, ma è no).

    Ergo, lo stile semplice, benché ovviamente piacevole, aiuta davvero la comprensione, in certi campi (certi, non tutti), se non si ha la conoscenza dell'universo tecnico che apparentemente quello stile ti ha fatto saltare, ma che torna poi in altro modo? Dai tu la risposta.

  20. b.georg dice:

    però, dato che questa non è una chat, ora vado a nanna :)

    grazie al tenutario che mi sopporta

  21. Squonk dice:

    "lo stile semplice, benché ovviamente piacevole, aiuta davvero la comprensione, in certi campi (certi, non tutti), se non si ha la conoscenza dell'universo tecnico che apparentemente quello stile ti ha fatto saltare, ma che torna poi in altro modo?"

    Per me, lo stile semplice aiuta sempre la comprensione. Sempre. Il problema con chi non ha le conoscenze di base di un certo campo del sapere è proprio questo: non può giudicare della qualità  di ciò che gli viene proposto e, soprattutto, non può imparare, perchè quel sapere gli viene "spiegato" in modo a lui incomprensibile. Voglio dire, caro BG, che anche tu hai avuto bisogno di qualcuno che ti introducesse alla filosofia usando un linguaggio semplice. Questo qualcuno non era Hegel: era il tuo professore. Ecco, sarebbe bene, ogni tanto, scendere ciascuno dal proprio piedistallo e smetterla di atteggiarsi (o, peggio, di credersi) a Hegel, a Friedman, a Einstein.

  22. Fabio Metitieri dice:

    Bi-giorgio, spesso si divulga un pezzo di realta', mica solo testi altrui. Comunque, divulgare (o anche recensire) un testo altrui e' il sistema migliore per rendersi conto se quel testo dice qualcosa o no.

    Spesso, quando ne devi scrivere, ti rendi conto che il libro che hai appena letto non diveva nulla di interessante e puo' essere riassunto in 800 battute.

    Ciao, Fabio.

  23. PlacidaSignora dice:

    Un "brava" alla Signora Mantellini!

  24. b.georg dice:

    sergio, ti rispondo sul blog, qui è troppo lungo. e la filosofia non si può imporre a nessuno

    ;-)

  25. Gilgamesh dice:

    Mi unisco alle congratulazioni di Mitì per la signora Alessandra, che mi trova sostanzialmente d'accordo, potrei ribadire quanto scritto ieri e parzialemente avversato da Georg, ma rischierei di ripetermi.

    Aggiungo solo che il nocciolo della questione sta nell'effettiva comprensione di un argomento che un messaggio può portare. Se si desidera comunicare, ergo trasmettere effettivamente informazioni, occorre usare un linguaggio adeguato non solo al mezzo trasmissivo (il "medium" se preferite) ma anche al destinatario del messaggio.

    Naturalmente, niente vieta di usare appositamente un linguaggio comprensibile solo a chi ha una conoscenza del campo specifico pari o comparabile a quella dell'autore: è un modo come un altro di selezionare i destinatari.

    Umberto Eco ha fatto qualcosa di simile nelle prime cento pagine del "Nome della Rosa", e se n'è fatto vanto.

    Per chiarire, Georg, che quanto ho scritto ieri non si riferiva nello specifico al libro di Igino, che non ho peraltro letto e non posso giudicare, ma in generale a chi scrive utilizzando un gergo, perchè di questo si tratta, senza che sia realmente necessario, solo per rileggersi e dire tra sè "madonna, quanto so' bravo, quanto so' ntellettuale, se sente che ho studiato"

    Cordialmente,

  26. b.georg dice:

    gilga

    non selezionare i destinatari è tecnicamente impossibile, sempre se vuoi usare linguaggi umani (riflettici)

    non distinguere linguaggio comune e linguaggio specialistico è da pazzi

    non distinguere tra linguaggio specialistico e divulgativo, è pura ideologia da casa editrice

  27. Gilgamesh dice:

    Caro Georg, intervengo per l'ultima volta giusto per chiarire meglio il mio pensiero, dato che evidentemente (mea culpa) non mi sono spiegato in maniera adeguata, e poi smetto per evitare che questo spazio si riduca a un dialogo tra noi, che potremmo tranquillamente e più proficuamente proseguire via mail.

    Penso che se l'intento di uno scritto è comunicare informazioni a quanti più lettori possibili, è necessario usare un linguaggio semplice e chiaro, per evitare di aggiungere alle possibili difficoltà  concettuali dell'argomento quelle interpretative.

    Chiaro che due medici che parlano tra loro, anche per iscritto o in pubblico, di una rara sindrome possano e debbano ricorrere a un linguaggio, appunto un gergo, in questo caso medico, che risulta del tutto incomprensibile a un non medico.

    Stesso discorso naturalmente per due o più informatici, ingegneri, avvocati o economisti. L'autocompiacimento è assente, il gergo viene utilizzato in quanto è il mezzo comunicativo più adatto, semplicemente non ci si preoccupa di eventuali ascoltatori casuali, nè lo si usa apposta per escluderli.

    Ecco, devo dire che nel caso di due filosofi, due critici dell'arte o due linguisti che discutano in pubblico un legittimo sospetto che l'uso delinquenziale del gergo specifico sia invece pervaso di tale sentimento, può nascere :o)

  28. Gilgamesh dice:

    Aggiungo un'ulteriore considerazione:

    Al giorno d'oggi, è necessario anche fare i conti con la vastità  raggiunta dallo scibile umano. Ai tempi di Leonardo, una singola persona particolarmente dotata, poteva ragionevolmente affermare di conoscere e comprendere la totalità , la summa delle discipline che concorrevano a formarlo.

    Oggi sicuramente questo non è possibile. Ma bisogna fare i conti con una tendenza particolarmente pericolosa, per il progresso dello scibile: l'iperspecializzazione.

    Oggi un laureato italiano in materie scientifiche ha poche chances di trovare in patria un lavoro che gli dia reali soddisfazioni: i posti nella ricerca, soprattutto pubblica, sono pochi, spesso sottopagati e di difficile accesso. Negli Stati Uniti, per contro, i laureati italiani, soprattutto se brillanti, sono particolarmente apprezzati come coordinatori e capi-progetto: nel loro campo sanno un po' di tutto e possono fare da collante tra i vari iper-specialisti coinvolti, che sarebbero altrimenti privi di collegamento.

    E qui salta fuori una distinzione fondamentale, quella tra cultura ed erudizione. Chi è dotato di una buona cultura generale e di normale intelligenza, riesce normalmente ad acquisire criticamente e fare proprio un qualunque settore dello scibile, se gli interessa, a patto che non gli vengano creati degli sbarramenti all'accesso, ovvero se i concetti gli vengono spiegati in maniera semplice e chiara.

    Al punto da poter magari dare un proprio contributo allo sviluppo di quel settore dello scibile (penso a Faraday e a Tesla, ma anche in altri campi che non siano la fisica credo esistano esempi appropriati.)

    L'erudito, spesso, ha solo un'ottima memoria e vaste letture, e l'abitudine di citare i classici a ogni piè sospinto, afferma autorevolmente solo cose ampiamente condivise e comprovate, raramente o mai esprime un pensiero originale, e spesso il suo livello di comprensione degli argomenti che con linguaggio ricercato e forbito illustra anche a chi non gliene fa esplicita richiesta è tale che richiestagli una spiegazione, sorvola, glissa o adotta un linguaggio ancora meno comprensibile.

    E spero nessuno si senta chiamato in causa da questa distinzione, è del tutto generica e generale.

    Scusate la lunghezza, ma è un argomento che mi interessa e mi sta a cuore, se non si fosse capito :o)

  29. b.georg dice:

    gllga

    difficile che la filosofia non usi un linguaggio tecnico, soprattutto se riflettiamo sul fatto che "linguaggio", "tecnica", e persino "fatto" per quanto noi oggi li consideriamo "meri dati di fatto", sono invece termini "tecnici" che nemmeno esistevano al di fuori delle filosofie che li hanno costruiti (anche l'esistenza di "meri dati di fatto" del resto si deve alla filosofia).

    "la modestia e la vergogna impongono all'uomo di parlare di ciò di cui sa e di domandare del resto".

  30. cesare dice:

    "Formulare i risultati delle proprie ricerche in maniera che non abbiano un carattere ultraspecialistico, idiosincratico o esoterico, ma siano accessibili ai colleghi di altre discipline, così come noi stessi desideriamo poterci valere di quanto è accessibile a noi nelle scoperte loro. àˆ questa l'unica via per infrangere l'isolamento in cui si trovano gli studi di storia dell'arte e ottenere che l'uomo sia al centro degli studi umanistici".

    Non sono io. Gombrich dixit. Io l'ho solo stampato sul frontespizio della mia tesi di laurea. Poi basta sostituire 'storia dell'arte' con qualunque cosa.

  31. Sandro kensan dice:

    Di solito non vengo contraddetto ne commentato, questo mi dispiace comunque su quello che dice Alessandra avrei da ridire personalmente. Avendo poche capacità  in tal senso mi rifaccio a quello che esprime un esperto sul campo della filosofia umana: il Buddha.

    Il Buddha Sakyamuni afferma che oltre al percorso di vita verso l'illuminazione il resto sono illusioni mentali. Per tal motivo non vi è necessità  di alcuna sovrastruttura linguistica in quanto solo frutto di fantasia.

    Da parte mia posso aggiungere che facendo seguire un passo logico a uno emotivo/relazionale e a quello emotivo, quello logico si destruttura la realtà . Una eventuale sovrastruttura linguistica non resisterebbe ad alcun cammino in quanto fondati su aspetti statici e quindi sofferenti dell'animo umano.

    La mia idea è che la filosofia indaghi l'animo umano all'interno dei confini caratteriale di se stessi, la filosofia del Buddha si propone di eliminare i limiti affettivi umani col dispiegamento delle capacità , questo tramite il cammino verso l'illuminazione che nessuno insegna.

  32. Gilgamesh dice:

    Ok, è vero, avevo scritto che non avrei proseguito questa discussione se non via e-mail :o)

    Mi sia consentito di esternare solo i miei complimenti a Cesare (condivido in pieno lo spirito e il senso della citazione), dell'intervento di Sandro Kensan temo di non cogliere la premessa e la pertinenza, e infine dire a b.georg che, ne sia consapevole o meno, quello che riporta è un principio sapienziale islamico : il concetto di 'Haya (modestia e vergogna in una parola sola) che se può andar bene come precetto per una religione rivelata, viene meno al requisito base per una civile discussione tra pari, ovvero poter esprimere liberamente la propria rispettabilissima opinione, condivisa o meno che sia dall'interlocutore :o)

  33. b.georg dice:

    1) cesare, "che l'uomo sia al centro degli studi umanistici" (oltre che una divertente tautologia), è un'espressione che attiene a una corrente filosofica molto specifica, con una sua idea di cosa sia "umanità ", di cosa sia "sapere" e di quale posto occupi il sapere in tale umanità . Non serve dire che ci sono opinioni molto diverse da questa, ma il punto è che persino gombrich non parla per verità  rivelata né con la lingua di dio, ma in base alle proprie precomprensioni (i suoi studi ed esperienze, e ciò che ha reso possibile in generale che qualcuno gli uni e gli altri, ad esempio che qualcuno “studi”, faccenda per nulla “naturale”: l’alfabetizzazione stessa come la conosciamo è l’applicazione di una filosofia – l’illuminismo -, di una comprensione del reale molto particolare).

    ergo, anche per capire la frase che citi servono una quantità  inverosimile di specialismi (queste brutte cose), di cui né lui né noi siamo normalmente coscienti a "mente sveglia" ma che usiamo continuamente (come non siamo coscienti di schiacciare la frizione mentre guidiamo, ma lo facciamo "automaticamente")

    per pietà  non faccio un elenco nemmeno sommario di tale enormità  di presuposti. Prova a citare questa frase a un analfabeta che ha vive in una favela, e ti renderai conto che non ne comprenderà  nemmeno una parola.

  34. b.georg dice:

    2) Che poi una delle attività  della filosofia sia confezionare proprio molti di tali "specialismi" e termini tecnici (e anzi di più, creare la stessa divisione del sapere e fare di ogni scienziato un tecnico, e non più un sapiente come nell'antichità ) rende chiaro come la questione qui sia ingarbugliata, piena di contraddizioni, di guadagni ma anche di perdite, e non si possa sciogliere con un colpo di buona volontà  o di democraticismo semplificatorio o con utopie sinistre di “umanità  integrale” (ad esempio, lo diresti mai che il concetto stesso di "tecnico" non cresce sugli alberi, ma è un "termine tecnico" scaturito dalla riflessione greca su se stessa, cioè dalla filosofia? E che la filosofia è esperta nel torcere le parole comuni per far loro assumere sensi nuovi, e così creare nuovo pensiero? E che va da sé che tale torsione sia da intendersi come "tecnicismo" all'inizio incomprensibile ai più? Pensi che quando si sono inventati il concetto di materia, i loro contemporanei non gli chiedessero se per caso fossero matti? Eppure per te è la cosa più ovvia del mondo che ci sia materia. Ah, anche "democrazia", che sta dietro in qualche modo alle vostre deduzioni, è un termine tecnico. Anche pieno di problemi, come si vede)

  35. b.georg dice:

    3) nello specifico, confondere i presupposti coi risultati, porta a dire assurdità .

    con i tuoi colleghi, cesare, se in una relazione rivolta a loro parli di una questione tecnica, ti esprimi usando lo stesso linguaggio che usi dal pizzicagnolo parlando di calcio? In dialetto e ricorrendo a gustose metafore carnali? Senza mai usare una parola che non diresti a un bimbo di 6 anni? Spero di no. O comunque dipende dal lavoro. probabilmente non lo faresti nemmeno se di lavoro facessi il pizzicagnolo. Di certo non se facessi, che so, l'analista finanziario. Scriveresti in buon italiano, invece, sempre che tu sia capace – ma non dipende dal tuo lavoro, è un tuo talento semmai – non lesinando termini tecnici e specialismi, che servono proprio a farti capire meglio e prima dalla tua "comunità  di pari" di quella situazione.

    Non dubito che se il pizzicagnolo ti chiedesse del tuo lavoro, cercheresti di spiegarglielo nel modo che supponi lui lo possa capire, facendo una via di mezzo tra il tuo specialismo e lo sbraco totale. Trattasi di divulgazione, di cui nessuno ha mai negato la dignità  e il valore.

    E allora, perché un docente universitario che scrive un libro specialistico nella sua disciplina non dovrebbe discutere con la sua "comunità  scientifica" di riferimento, prima di dicutere con te, che di tale disciplina magari conosci solo il nome?

    Forse per vendere più copie e diventare famoso e noto anche al di là  del valore di quel che dice? O per diffondere il sapere alle masse, o arrivare alla riunione dei saperi da destinare all'uomo integrale? Ma tale intento è interno alla sua disciplina? O è esterno, è una sua eventuale convinzione filosofica o religiosa, nobile magari (o ingenua) ma non rilevante per decidere se è un buon ricercatore?

    E non pensi che il giorno che vorrà  scrivere un libro per te lo farà  diversamente? Sempre che abbia davvero qualcosa da dire, cosa che al momento non è dimostrata, naturalmente.

  36. Gaspar dice:

    Giorgio, ti dichiaro vincitore "per sfinimento"…

    ;-)

  37. Sandro kensan dice:

    Grazie Gilgamesh per la risposta, la premessa è molto semplice, pur scrivendo da alcuni mesi su questo blog, quindi commentando, sono molto poco "cagato". Il termine tecnico usato significa escludere quasi tutti i miei discorsi perché poco interessanti.

    Può essere ma mi sento un po' mobizzato.

    Sul contenuto invece trovo ci sia la pertinenza in quanto si parla di filosofia e di costruzioni linguistiche. La lingua poggia le sue basi sulla nostra persona, se la persona ha un "carattere" significa che le basi sono statiche. Nel buddismo avere un carattere ovvero essere statici significa resistere al mutamento della realtà  e questo genera sofferenza e solo una mente in continua evoluzione può eliminarla.

    In una mente in cammino mancano i presupposti di staticità  necessarie (a mio avviso) per delle sovrastrutture.

    Per fare un esempio pratico nel cammino da uomo maturo a uomo vecchio occorre prepararsi alla morte e perdere le illusioni basate su un corpo forte, sulla velocità , prontezza mentale e mille altre che da vecchi generano sofferenza.

    Se una sovrastruttura linguistica si basa su queste illusioni e da vecchi si matura perdendole, le sovrastrutture cadono miserabilmente. Rimane solo l'essenza.

    Sono chiaro?

  38. Gilgamesh dice:

    Direi chiarissimo, e la trovo anche un'argomentazione piuttosto interessante, anche condivisibile. Ed è tra l'altro fondata su un principio comune anche al Taoismo, il Wu Wei, un concetto difficilmente comunicabile attraverso il linguaggio, data la contraddizione apparente dell' "agire senza agire". Personalmente, apprezzo molto la cultura tradizionale orientale, in tutte le sue forme, incluse arti, letteratura e filosofia: in particolare ho trovato illuminante, a suo tempo, la lettura dello H'sin-H'sin Mei, il "trattato per perfezionare la mente" nella traduzione di Leonardo Arena, insieme ad altri testi base del buddhismo Ch'an, nell'omonima raccolta.

  39. Sandro kensan dice:

    Mi dirai un giorno o l'altro se Gilgamesh ha un significato particolare. Sulle molte associazioni, molti spunti che citi, mi pare anche molte filosofie non ho che da esprimere la mia ignoranza.

    Quel che scrivo viene da mie considerazioni personali e da qualche pagina di buddismo letta in piedi in biblioteca o qualche inizio libro letto.

    In realtà  di Tao non so assolutamente nulla, il bussismo chan non so dove stia di casa però mi ha incuriosito molto il titolo:

    H'sin-H'sin Mei, il "trattato per perfezionare la mente".

    Onestamente devo dire che sono di un'altra filosofia:

    Stolto è colui che invece di guardare la Luna guarda il Dito che la indica.

    Ciao :)

  40. Sandro kensan dice:

    Scusate l'OT.

    * Vi rivelo un segreto, ma che resti tra noi, mi fu trasmesso millenni fa: un organismo cessa di vivere solo quando cessa di crescere, e viceversa;

    * il miglior stile è avere qualcosa da dire

    aggiungerei che dopo una meditazione si ha spesso qualcosa di dire.

    http://gilgamesh.splinder.com/